Nuove tecnologie per la diagnosi di demenza

AA

Iniziano dopodomani a Firenze i lavori per il XV Congresso nazuionale dell’Aip, l’Associazione italiana di Psicogeriatria presieduta dal professor Marco Trabucchi, direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica, realtà che ospitiamo con una rubrica fissa in questa pagina. Tema del Congresso è: «La cura dell’anziano il futuro della Medicina». Durante le numerose sessioni, si parlerà anche di nuove tecnologie diagnostiche per le demenze. Un tema di grande attualità, alla luce del fatto che alcune patologie, quali l’Alzheimer, non possono essere guarite, ma di certo possono essere curate meglio se la diagnosi è precoce. E la tecnologia, in tal senso, è di grande aiuto alla professionalità dello specialista. Ospitiamo un contributo del professor Marco Trabucchi proprio sulle novità tecnologiche nella diagnostica delle demenze.

n La diagnosi di demenza è un momento delicato nella storia umana e clinica di una persona; deve quindi essere compiuta con grande prudenza e attenzione, sia per quanto riguarda la certezza della stessa sia circa le modalità di esecuzione.

Molto tempo è trascorso da quando si dichiarava che la diagnosi di demenza può essere fatta solo dopo la morte del paziente. Al contrario, oggi si sostiene che il dato anatomico, che equivale a quello ottenuto attraverso le varie modalità di imaging, rappresenta solo una parte delle indagini che devono essere fatte per raggiungere il massimo livello possibile di certezza.

Oggi la diagnosi, intesa in senso moderno, si struttura su quattro pilastri.

Il primo è un'accurata raccolta della storia, che ricostruisce quanto è avvenuto nel paziente, dai primi segni alla situazione attuale. È un passaggio importante, perché permette di conoscere se vi siano situazioni intercorrenti che possono aver accelerato la comparsa dei sintomi.

Il secondo pilastro è l'indagine neuropsicologica, che permette un'analisi accurata dei deficit e delle aree ancora conservate delle funzione cerebrale. La neuropsicologia è indispensabile per comprendere a fondo le aree maggiormente compromesse all'interno di una diagnosi, come quella di Alzheimer, che riguarda molti e diversi possibili percorsi di malattia.

Terzo pilastro è l'imaging; alla tradizionale TAC e risonanza magnetica si è aggiunta recentemente la possibilità di rilevare tramite la Positron Emission Tomography la presenza nell'encefalo della persona ammalata di depositi di beta-amiloide, la sostanza ritenuta primariamente responsabile dei deficit cognitivi. Nonostante vi siano ancora alcune incertezze sul ruolo della beta-amiloide, la sua presenza in quantità significativa contribuisce in modo importante alla possibilità di arrivare ad una diagnosi, in particolare nei casi particolarmente incerti.

L'ultimo pilastro è rappresentato dalla biochimica liquorale, in particolare la possibilità di misurare la concertazione di beta amiloide e quella della proteina tau. Anche a questo proposito si deve ricordare che sono necessari ulteriori avanzamenti significativi, in particolare per quanto riguarda la riproducibilità dei dati di laboratorio.

I diversi approcci testimoniano come la diagnosi di demenza richieda la collaborazione di competenze diverse (neurologiche, geriatriche, psichiatriche, internistiche, di medicina nucleare e di laboratorio); il lavoro di equipe deve però arrivare ad una sintesi che tenga conto della realtà clinica attuale e dei bisogni del paziente e della sua famiglia.

Recentemente un documento dell'Associazione Italiana di Psicogeriatria così si concludeva: "Una maggiore accuratezza diagnostica sin dalle fasi precoci di demenza, attraverso un'utilizzo intelligente ed equilibrato delle varie possibili fonti di informazione sul singolo paziente, permette una migliore cura delle comorbidità somatiche e psicologiche, unitamente ad una più tempestiva gestione delle problematiche assistenziali". Anche se la cura dell'Alzheimer non è una prospettiva che si realizzerà a breve, la disponibilità di strumenti diagnostici efficaci segna un forte progresso della clinica, in grado di sfruttare al massimo i prossimi progressi della ricerca terapeutica.

La demenza di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati.

È la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane.

La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia