I due volti della solitudine, «buono» e «patologico»

Marco Trabucchi, presidente Associazione nazionale Psicogeriatria, da giovedì a congresso a Firenze.
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Dal 10 al 12 aprile 2014 si svolgerà a Firenze il 14° Congresso nazionale dell’AIP - Associazione Italiana di Psicogeriatria - dal titolo: «Oltre il corpo, la mente fragile». Pubblichiamo un contributo del professor Marco Trabucchi, presidente dell’AIP, sulla solitudine nella vecchiaia.

n La solitudine buona -È venuto a cercarmi un signore di 93 anni, vestito da contadino, pulito, ordinato. Non ho capito che cosa volesse da me, se non farmi conoscere la sua situazione. Vive da solo, in campagna, da oltre 30 anni, da quando ha perso la moglie. È sereno, si arrangia in tutte le operazioni per mantenere in ordine la casa e i suoi vestiti. Mangia molto poco, ma senza problemi si prepara le poche cose di cui ha bisogno. Ho cercato di farlo parlare, per comprendere se la vita in solitudine fosse per lui un peso. Mi ha dato una risposta neutra: è la vita! Ha qualche conoscente, ma non frequenta luoghi di aggregazione, se non qualche rara volta la sezione degli alpini. Questa visita mi ha fatto pensare a quanto sia singolare la natura umana e come ciascuno di noi sia diverso nei modi per affrontare la vita.

Siamo abituati a pensare alla solitudine come ad una condizione negativa, ad una perdita vitale.

Anche la medicina ha dei pregiudizi verso chi vive da solo; non riesce a comprendere che se molti soffrono per l'impossibilità di condividere la vita con un altro essere umano, vi sono anche altri che invece vivono bene occupandosi da soli della loro vita pratica ed anche di quella psichica.

Durante le recenti festività una famosa rivista medica inglese ha dedicato un articolo ai problemi della solitudine durante il Natale; lo scopo era richiamare l'attenzione dei medici verso una condizione che spesso è all'origine di difficoltà sia sul piano fisico che psichico.

Il quadro però non è completo se non si guarda anche alla vita di persone che accettano la solitudine e vivono bene sebbene soli, perché riescono ad organizzare il tempo in modo sereno.

Esiste quindi una solitudine buona? Spetta al medico sensibile ed esperto capire se la persona che si rivolge a lui chiede aiuto per affrontare le difficoltà di una vita che l'ha abbandonato oppure se è capace di continuare a portare avanti un'esistenza autonoma, per quanto faticosa. Peraltro vari studi hanno dimostrato che le persone anziane che vivono in casa da sole normalmente si trovano in una condizione di salute superiore alla media, quasi fosse avvenuto un processo di selezione.

Questi anziani devono però essere al centro della nostra attenzione, perché il restare a casa per loro è una continua conquista. Dobbiamo essere loro alleati fedeli e accurati, perché la casa è sempre il luogo più bello per vivere. Talvolta basta sapere che un medico si occupa di te per non rompere questo incantesimo. La propria casa è il castello più bello…

La solitudine dolorosa

Vi è un vero e proprio dolore causato dalla solitudine, che talvolta pesa di più anche rispetto al dolore somatico. E certamente è più difficile da sconfiggere. Il vivere solo (nel senso negativo) è un pesante fattori di rischio di mortalità nell'anziano, alla pari o superiore ad altri fattori, quali l'obesità.

Quindi è un dolore che uccide! Rappresenta una delle grandi povertà della persona vecchia; assieme a quella economica, la povertà di relazioni esercita una pesante influenza sulla durata della vita.

Peraltro la solitudine stessa è un forte fattore di rischio di molte malattie, quali l'ipertensione, l'ictus, l'infarto del miocardio.

Si può sconfiggere la solitudine? Prima di tutto si devono considerare atteggiamenti vitali, come quelli descritti nelle righe precedenti, che inducono ad affrontare in modo positivo e creativo anche la mancanza di rapporti; la maggior parte delle persone però dipende dagli altri e soffre per l'impossibilità di ascoltare e di parlare.

Una recente indagine svolta in Toscana sugli ultra sessantacinquenni ha dimostrato che l'isolamento sociale è più frequente dopo i 75 anni e tra le donne. Inoltre il 22% degli anziani con livello di istruzione basso è a rischio di isolamento sociale, contro un rischio del 15% delle persone con istruzione superiore.

Dati simili si trovano anche tra le persone con diversi livelli economici (11% tra chi è benestante, il 25% in chi ha problemi rilevanti). Peraltro il 70% degli anziani disabili è a rischio di isolamento.

Infine la solitudine è associata ad un maggior ricorso all'ospedale e ad una più lunga durata dei ricoveri; ma anche a casa l'anziano solo è a rischio di malnutrizione, di cadute, di abuso alcolico, di scorretta assunzione dei farmaci. Possiamo sperare in un futuro nel quale gli anziani riescano a costruire reti tra di loro e con gli altri cittadini per ridurre la loro solitudine? Cosa può fare la convivenza civile per facilitarli?

Marco Trabucchi

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