Cultura

Verdena, idee nel bosco dei sillogismi sonici

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Sempre più pop, eppure sempre più sperimentali, in una giungla di suoni che passa dalle citazioni degli Smiths a sillogismi sonici strampalati e maledettamente intriganti. Signori, anche stavolta: che disco!

Probabilmente è (almeno) dai tempi di «Wow», il precedente doppio album uscito nel 2011, che i Verdena mettono d’accordo tutti. Esempio unico in Italia di ricerca e di capacità di reinventarsi. Una band che stupisce perché matura, si rilegge e rilegge soprattutto un sacco di musica del passato. Se «Requiem» si bagnava nelle acque dei Settanta, «Wow» aveva momenti tra pop, psichedelia e indie-rock. Un’enciclopedia di sonorità in ventisette (ventisette!) canzoni senza significativi vuoti d’aria di qualità. La gente e la critica esclamarono, in coro, «Wow».

Tutto questo preambolo per rendere l’idea dell’attesa che c’era attorno ad «Endkadenz Vol. 1», che è il primo capitolo del nuovo lavoro del trio formato dai fratelli Alberto e Luca Ferrari con Roberta Sammarelli. I quali non rinunciano a una produzione «monstre», solo che stavolta la spezzano in due dischi che escono separatamente («la Universal non fa più album doppi, quindi...», hanno spiegato in una recente intervista). Fatto sta che anche in questo caso in tre anni i Verdena hanno messo assieme un «corpus» fitto di idee.

E dentro c’è un po’ di tutto. Inutile seguire la scaletta, meglio procedere per sensazioni. Orientandosi senza bussola in un bosco di splendide aperture melodiche che ricordano il Battisti più sperimentale, di riletture vicine agli esperimenti che, sul finire degli anni Novanta, i Blur fecero attorno al concetto di lo-fi. Suoni ora oscuri, ora traslucidi, e la giocosità dall’attitudine prog di chiudere e riaprire i brani mescolando nuovi temi e variazioni. «Endkadenz», come se non bastasse, è nato su svariate fasi compositive. Momenti in cui la band registrava in formato rock-trio e altri in cui s’è preferito giocare con la batteria elettronica.

Ogni pezzo dei tredici che compongono l’album merita d’essere sentito. Dall’oscura e livida «Ho una fissa» a «Funeralus». Il primo singolo è «Un po’ esageri», sorprendente rilettura garage-rock della melodia di «Ask» degli Smiths. Per «Vivere di conseguenza», forse il brano leggermente meno ispirato, i Verdena hanno raccontato di essersi ispirati addirittura agli Spandau Ballet (quanto di più lontano avresti detto potesse esserci da loro, almeno fino a qualche anno fa). E poi le code di delay come piste d’atterraggio di aeroplani in «Alieni fra di noi». Dolcezze alla Level 42 in «Contro la ragione». Echi di elettronica distorta in «Sci desertico». Il testosterone percussivo in «Derek». La visionaria «Puzzle».

Il tutto con il marchio di fabbrica dei testi di Ferrari: un assemblaggio di frasi sconnesse («mi segnerò un gol/bene non prende/dagli un attimo e poi/vedrai che scende») con parole che finiscono in «ei», «ai», «oi». Verbi al futuro.

E alla fine la sorpresa è pari all’Endkadenz, l’effetto scenico inventato dal compositore Mauricio Kagel: «Colpisci con tutta la forza possibile sulla membrana di carta del VI timpano - si legge tra le note del booklet - e nel frattempo, nella lacerazione prodotta, infilatici dentro tutto il tronco. Quindi resta immobile!». Davvero notevole.

Daniele Ardenghi

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