Cultura

Un’indagine agli albori dell’intreccio Stato-mafia

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«Il Procuratore del Re ordina immediate indagini su La Mantia Federico, agente scelto di pubblica sicurezza a Palermo, e Verso Carmela, consorte del su menzionato La Mantia, scomparsi entrambi improvvisamente e senza spiegazione alcuna il 15 maggio 1911». Questo l’ordine scritto «con svolazzi ultimativi» che il Cavalier Eugenio Garbo, Commissario di P.S. del Regno d’Italia, si trova sulla scrivania un lunedì mattina. E da quelle righe scritte a matita, prende le mosse la sua ultima indagine.

La Mantia è uno sbirro sveglio, da qualche mese opera nella zona di Monreale ed è riuscito ad infiltrarsi nella maglie fitte della mafia. Già una dozzina di persone sono finite in galera grazie a lui. Ed è questa, forse, la ragione della sua scomparsa. Ma perché è sparita anche la moglie? Hanno fatto perdere ogni traccia per sfuggire alla vendetta e sono sani e salvi altrove, o sono stati uccisi?

Il commissario Garbo è persona prudente ed efficiente, Si muove con cautela, ma sa dove andare a mettere occhi, mani e orecchie. Aiutato in questo dal Delegato La Placa, padre di molti figli, devoto cittadino e quindi uomo che sa raccogliere confidenze preziose. E protetto dall’agente Giuseppe Calascibetta, alto e roccioso, ma dalla mente sottile.

Sulle tracce degli scomparsi coniugi La Mantia, il Cavalier Garbo finirà nel ginepraio di una Palermo dove mafia e potere stanno consolidando rapporti stretti. L’Italia si sta preparando a festeggiare i cinquant’anni dell’Unità e i potenti di Sicilia hanno già superato d’un pezzo la boa gattopardesca del far finta di cambiare tutto per mantenere intatto il loro potere. Ora allungano le mani rapaci anche sul nuovo «mercato» dell’emigrazione.

Un attentato vero ad un magistrato, che poi si vorrà far passare per finto in modo da screditare il giudice, i nascenti servizi segreti che fanno il doppio gioco e la trattativa tra Stato e mafia danno costante eco di attualità a questa storia che Davide Camarrone ha voluto ambientare agli inizi del Novecento. Lo stesso autore gioca a carte scoperte, dandone spiegazione nel «post scriptum». Piacevole e ben congeniata la trappola narrativa, documentata l’ambientazione storica. Va dato atto a Camarrone - che con «Lorenza e il Commissario» già aveva solcato con successo il filone giallo - di divertirsi e divertirci sfuggendo alla serialità. Suggestive le descrizioni dei personaggi, a cominciare del solitario, malinconico e smaliziato Cavalier Garbo.

Claudio Baroni

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