Cultura

Un falsario di talento nell’Italia malata e corrotta

AA

Artista incompreso, falsario acclarato. È la parabola biografica di Paolo Ciulla, classe 1867, siciliano di Caltagirone con pezzi di vita a Roma, Brasile, Argentina, Catania. È la storia di un ragazzo sveglio, di buona famiglia, provetto disegnatore, talento artistico sicuro da affinare con gli studi all’accademia nella capitale, dove approda nel 1884. Roma è in piena eccitazione. Da quattordici anni cuore politico, amministrativo, burocratico del nuovo Stato unitario, corrotto ed infetto, brulicante di affaristi, governanti senza scrupoli, ruffiani del potere e portaborse mischiati alla malavita comune. La speculazione edilizia e quella finanziaria vanno a braccetto nel modellare una città malata dal punto di vista morale ed urbanistico. Paolo Ciulla è presto disilluso da questo ambiente. Giovane pieno di ideali, anarchico, torna al suo paese, resta coinvolto nei Fasci siciliani del 1893, il movimento socialista che chiede giustizia, pane e lavoro, ricevendo in cambio le fucilate dei soldati mandati dal presidente del Consiglio Francesco Crispi, siciliano anch’egli, ex repubblicano, ex rivoluzionario, uno dei leader politici più corrotti e reazionari che la storia d’Italia annoveri. Quando gli ideali di Paolo, che diventa anche consiglieri comunale nell’amministrazione progressista di Caltagirone, vanno in frantumi sotto i colpi della repressione, emigra in Sudamerica.

«Ciulla, il grande malfattore» è il titolo ironico del volume scritto sul personaggio da Dario Fo e Piero Sciotto. Un volume agile, una biografia sotto forma di racconto, dichiaratamente dalla parte di Ciulla, artista mancato per le circostanze avverse, ma falsario di successo. Non per le fortune accumulate, piuttosto per la bravura, dedicando tutto il suo notevole talento a fabbricare biglietti di banca falsi. Un grande malfattore piccolo piccolo di fronte al gigantesco malaffare che corrode l’Italia. Dario Fo e Piero Sciotto (uomo di musica e teatro, collaboratore per vent’anni del Premio Nobel) non nascondono la loro simpatia per il protagonista. Falsario per necessità, ma soprattutto per rivalsa personale. Sembra dire: non mi avete riconosciuto come grande pittore, ecco cosa sono capace di fare con lastre, bulino, carta e colori. In Argentina apprende la tecnica, a Catania la rende arte sopraffina, tanto che la sua stamperia verrà scoperta solo per caso dopo molti anni di attività nel 1923. Il processo è una farsa, degna di essere rappresentata da Dario Fo. Gli autori, che per il volume attingono dalle fonti dell’epoca, riproducono pezzi di verbale del processo. Paolo Ciulla, quasi cieco per gli acidi usati nel mestiere, si esibisce come in un teatro, interloquisce coi magistrati, i testimoni, gli avvocati, coccola il pubblico che sta dalla sua parte, coltiva l’immagine di novello Robin Hood che toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Poca roba, tutto sommato, sottolineano gli autori, i biglietti smerciati contribuirono a sollevare l’economia siciliana. Sul piano morale e penale, beh, nel Parlamento di Roma o nei palazzi del Governo, c’erano ben altri ladri.

Altro che secolo breve, commentano gli autori: per l’Italia il Novecento è un secolo lunghissimo, iniziato nel 1861 e ancora in corso. Con gli stessi vizi.

Enrico Mirani

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia