Cultura

Ombre, luci e miraggi urbani

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n La fotografia, strumento di riproduzione del reale per eccellenza, si fa mezzo di superamento del visibile, e grazie alla manipolazione pittorica, tecnica o tecnologica, apre a mondi immaginari nei quali diventano protagonisti la memoria, il sogno, la realtà virtuale.

Accade nella mostra «Tracce di immagini», a cura di Angela Madesani, che affianca le opere di Antonio Marchetti Lamera, Paolo Parma e Andrea Valsecchi, tre autori accomunati dalla ricerca sullo spazio urbano, indagato nei suoi risvolti meno appariscenti, negli interstizi in cui il tempo si dilata fino a farsi memoria, e apparizioni inattese spalancano squarci narrativi di sottile surrealismo.

Bergamasco di Torre Pallavicina, appena al di là dell’Oglio, Marchetti Lamera (1964) parte dalla fotografia come mezzo per catturare ombre di edifici, alberi, tralicci, elementi del contesto urbano incontrati durante i viaggi nelle città europee, che riporta sulla tela elaborandoli a matita grassa e velandoli con colori metallici e cangianti fino ad ottenere «ombre di ombre». Il tema è quello dello scorrere del tempo, che l’ombra trasforma in qualità visibile degli oggetti; e della «leggerezza» che il Calvino delle «Lezioni americane» e il Kundera dell’«Insostenibile leggerezza dell’essere» individuano come caratteri della contemporaneità. Quasi che la visione vera - in quanto soggettiva e interiore - del reale, sia da cercare non nella chiarezza dell’oggetto, ma nella evanescenza colta dall’occhio nel suo trascorrere incessante.

Anche il veronese Paolo Parma (1958) lavora sulla traccia e sulla memoria, nelle foto di muri su cui restano l’impronta di un quadro, uno sbaffo di matita a documentare una presenza non altrimenti riscontrabile. E sulle intense immagini in bianco e nero, stampate a mano su carta-cotone con effetti di morbidezza pittorica, in cui la città è un fantasma oscuro che si svela per bagliori improvvisi, androni illuminati, finestre aperte sulla notte, dove le esistenze si fanno incerte come sogni o miraggi.

È l’ironia la chiave di lettura delle immagini che Andrea Valsecchi (Milano, 1970) crea inserendo in vedute urbane elementi tratti dalla realtà virtuale, o dalle schermate dei computer: cursori, pixel, loghi... fino a minare la quotidianità con «trappole» pronte a inghiottirci in uno spazio e tempo parallelo.

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