Cultura

Istante di luce nella vita dello scrittore

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n Un raggio di sole, un attimo di tranquillità nell’opera, e probabilmente anche nella vita, di Georges Simenon. Questo è il romanzo «Le petit saint», che Adelphi ripubblica col titolo «L’angioletto» nella collana «Gli Adelphi», dopo averlo inserito nel secondo volume dei «Romanzi» del 2010.

Simenon lo scrisse nel 1964 a Epalinges in Svizzera, nella grande casa che aveva progettato personalmente ispirandosi a una fattoria bretone o a qualcosa di simile. Una casa enorme e brutta, a detta di amici e visitatori, ma anche per ammissione dello stesso Simenon, dove si stava consumando la fine del suo secondo matrimonio. Le frequenti crisi maniaco-depressive dello scrittore e le turbe mentali della seconda moglie Denyse, la giovane canadese assunta come segretaria nel 1945 e poi sposata nel ’50, avevano trasformato il matrimonio in un incubo: quell’estate Denyse se ne andò definitivamente e trascorse il resto della vita tra continui ricoveri in casa di cura. Lo scrittore però non rimase solo, la moglie venne rapidamente sostituita dalla governante italiana Teresa Bruselin che gli rimase poi accanto fino alla morte nel 1989. Ma intanto anche la figlia undicenne Marie Jo iniziava a dare segni di squilibrio (morirà suicida nel 1978).

Insomma, Simenon, era nel pieno dei suoi «anni bui» quando si mise a scrivere la storia di Louis Cuchas, l’angioletto. Un personaggio buono, che comunica serenità, una rarità nello sterminato mondo fittizio di Simenon.

Louis è un ragazzino che cresce in un ambiente misero. Con la madre, venditrice ambulante di frutta e verdura ancora piacente, e cinque fratelli nati da padri diversi e più o meno sconosciuti. In una promiscuità che può apparire sordida, immorale, ma non allo sguardo sereno di Louis, che non giudica, vuole bene e basta. Così come non reagisce alle violenze dei compagni di scuola, meritandosi il nomignolo di «angioletto», per questa sua bontà, da molti scambiata per stupidità. Louis è occupato a guardare la vita, è troppo portato a voler bene per lasciar spazio a sentimenti negativi.

Qualcuno lo definisce un romanzo autobiografico, perchè nel raccontare la formazione di un artista Simenon delinea un metodo simile al suo: assorbire la vita per poter poi raccontarla, così come Louis assorbe forme e colori che lo faranno diventare un grande pittore. Ma l’autobiografia finisce qui. Louis non è Simenon, è semmai la persona che Simenon avrebbe desiderato essere. Un uomo capace di voler bene senza avere niente in cambio, senza distruggere le persone amate.
Alberto Pellegrini

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