Cucina

Un vino per il piatto? Meglio un piatto per un vino

Nuove tecniche e cucina fusion possono mettere in crisi i migliori sommelier
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Cibo e vino, tema sempre attuale e discusso da esperti e neofiti, dunque meritevole d’un approfondimento almeno sullo stato dell’arte tra i sommelier. Un piccolo viaggio che cominciamo con questo primo articolo d’una serie che completeremo nelle prossime settimane.

Vino bianco con il pesce e rosso con la carne. Non c’è un vero buongustaio al mondo che sia fermo a quella semplice (e spesso fuorviante) regoletta. Come minimo ci si affida al metodo Mercadini, quello adottato dall’Ais che si basa essenzialmente sul contrasto, salvo che per i dolci dove predilige la concordanza. Il metodo resta un punto di partenza solido. Godono di ottima salute tra gli appassionati le intuizioni di Veronelli: l’abbinamento di territorio (tipico Lambrusco e salumi) è considerato un riferimento persino più di moda di quando lo suggerì il grande Gino.

Nel sentire comune di sommelier ed appassionati prevalgono oggi l’attenzione per la struttura del piatto e quindi del vino e la persistenza aromatica sia del cibo che del vino. Sono due elementi che nel metodo Ais sono presenti, ma corpo del vino e struttura del piatto sono quasi un’appendice della classica scheda grafica. La persistenza gusto olfattiva è viceversa il caso più evidente di concordanza.

La faccenda però si è complicata molto. La fantasia dello chef fa nascere molto spesso piatti che sposano una miriade di sensazioni. Basti dire che la temperatura del cibo influisce parecchio sul successo dell’abbinamento con il vino. Ma se il piatto propone sensazioni caldo-freddo o di morbido-croccante come la mettiamo? Che il vino rosso vada bene con le carni può essere vero, ma provate a pensare al classico brasato al Barolo a confronto con le moderne cotture a bassa temperatura, così delicate da far pensare che un bel vino bianco strutturato è già troppo. Poi ci sono gli ingredienti, in particolare le spezie usate spesso con riferimento a cucine di altri continenti.

Infine sono cambiati i vini. I bei «vinoni» con tannini marcati che andavano a meraviglia con i piatti forti della tradizionale cucina invernale, non esistono quasi più. In compenso ci sono vini così complessi, profondi e in grado di regalare una cavalcata di sensazioni successive che sembrano fatti apposta per non abbinarsi ad alcun cibo. Intanto i vini bianchi variano dal lieve e carezzevole, con acidità quasi assente, a vini bianchi importanti con una struttura imponente o di grande mineralità che sono in grado di «uccidere» il più volonteroso dei peschi al vapore. Ma in questo caso, attenzione, se sul delicatissimo pesce mettete un generoso giro d’olio di qualità (amaro, piccante e «carciofoso»), tutto cambia.

Una cosa è certa. L’abbinamento fatto sulla carta, leggendo solo la ricetta, rischia spesso di non funzionare. Facciamo un esempio. Se la ricetta dice radicchio è lecito aspettarsi l’amaro del Trevigiano, se invece è di Castelfranco che di amaro ne ha davvero poco, la storia cambia.

Che fare? I sommelier più navigati lo sanno già: il piatto va assaggiato nella personale interpretazione di quello chef. Farselo raccontare spesso non basta.

Da un interessante confronto a Cast Alimenti sono uscite due piste per togliersi d’impaccio. La prima, è emersa, tra mille altri preziosi consigli, al corso organizzato per gli appassionati da Magazzino Alimentare. Costantino Gabardi, brand manager del vino ed esperto riconosciuto, ai cuochi per passione, ha consigliato di provare a ragionare al contrario. Se avete in serbo una grande bottiglia da far assaggiare agli amici, cucinate voi stessi un piatto che la accompagni.

L’altra pista è quella per i professionisti. L’idea è quella di coinvolgere lo chef nella scelta del vino, cosa tutt’altro che usuale. Nella preparazione classica di un cuoco è scritto che se si usa un vino in cucina lo si dovrà proporre anche in tavola. Si tratta, anche in questo caso, di una indicazione di massima: se la cottura sarà leggera e breve il vino spiccherà nel piatto e nel bicchiere, se cottura sarà ad alta temperatura, del vino non resterà che il ricordo e l’abbinamento potrà essere ripensato. Ma si deve andare oltre. Ed è proprio quanto avverrà d’ora in poi ai corsi professionali di Cast Alimenti. La società ha incaricato proprio Gabardi di introdurre la novità nei corsi. Per i professionisti una parte importante riguarderà la costruzione del menù tenendo conto dell’elemento vino, cosa che spesso non viene fatta,

Un esercizio, che verrà proposto sarà, ad esempio, quello di costruire un piatto a partire dal vino che si vuole servire, e non il contrario. L’intenzione è rendere l’aspirante chef sempre più consapevole dell’elemento vino. Anche se in sala c’è il sommelier, in cucina è necessaria consapevolezza e cultura del vino.

Dice Vittorio Santoro, direttore di Cast Alimenti: «Per completezza del mestiere, è stato per noi naturale introdurre questo elemento nei corsi di alta formazione. Il vino è parte integrante della cultura del cibo, soprattutto in Italia. Il cuoco deve affinarsi nell’analisi sensoriale e attraverso la conoscenza del vino migliorare la preparazione dei piatti. Come il cameriere deve sapere di cucina per poterla raccontare, così il cuoco deve conoscere il vino per tenerne conto nelle sue preparazioni. Tanto più che il vino, come il cibo, è un pezzo importante del nostro territorio da far conoscere all’ospite».

Gianmichele Portieri

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