Cucina

Solo vino bianco per ritrovare lo smalto perduto

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Ne è passata di acqua nell’Isonzo da quando, se volevi bere un grande vino bianco, magari con la complessità e la stoffa che solo qualche anno di attesa può regalare, dovevi andare in Collio goriziano a ridosso del confine con la Slovenia. Altrove i vini bianchi erano gracilini e duravano giusto per arrivare alla successiva vendemmia. Del resto il mondo del vino era ancora nel tempo della damigiana e il vino di qualità era rosso, il meridione era la fabbrica del vino da taglio e la Lombardia enoica contava meno di zero. Ma era tutta un’altra storia in cui prevalevano i vitigni francesi con degli straordinari Chardonnay e dei mitici Merlot. Solo gli alsaziani erano confrontabili con la minuscola zona della Venezia Giulia.

Poi il mondo è cambiato, il Collio è cambiato, i vitigni sono cambiati e sono cresciute altre zone (Alto Adige in testa). E il vino che consente di portare i soldi in cassa si chiama oggi Pinot grigio, che cavalca il perdurante successo internazionale.

Ora però la nuova idea di Collio c’è, ed a farsene paladini sono cinque piccolissimi produttori che, tutti insieme non fanno 250 mila bottiglie l’anno. Al centro del progetto c’è una sorta di «vino che non c’è» che si chiama Collio bianco, un uvaggio che deve vedersela con un ventaglio infinito di monovarietali a base di Friulano, Ribola gialla, Malvasia istriana, o ancora i forestieri Chardonnay e Sauvignon.

Se scorrete le guide che escono a raffica in questi giorni, di Collio bianco ne trovate pochissimo (se si escludono i cinque, peraltro premiatissimi, fautori della svolta). Nel complesso il Collio bianco non arriva al 10% dei 6 milioni di bottiglie che si producono in zona. Una zona peraltro piccolissima che può contare solo su 1.400 ettari a vite, sia pure con un terreno e un clima fortunati.

L’idea di futuro è fare del «vino che non c’è» il monoprodotto del Collio, da identificare d’ora in poi come zona dei vini bianchi. Il passo prossimo venturo è di scrivere sulle bottiglie solo «Collio» da intendersi come vino bianco da uve autoctone, come fa già la Franciacorta. Edi Keber ha già cominciato provocatoriamente a scrivere solo Collio sulle sue bottiglie, ma la cosa non fa confusione perché il Collio Bianco di Keber è talmente personale che non è facile confondersi. Ma, come ha fatto la Franciacorta con il Curtefranca, anche in Collio si devono ripulire un po’ i disciplinari.

I promotori della svolta sono, si diceva cinque. A guidarli è Roberto Picech (suo il Collio più equilibrato). Del gruppo fanno parte Edy Keber, Damian Princic con l’azienda Colle Duga (la più amata dai critici delle guide), Luca Raccaro e Damijan Podversic (inconfondibile perché tiene i mosti sulle bucce per mesi). Ma il vino del Collio lo fanno i vari Felluga, Schiopetto, Jerman. Già Jerman. Basterebbe dire che Vintage Tunina è un Collio Bianco per trasmettere un messaggio comprensibile in tutto il mondo. Ma i vini di Jerman non sono neppure Doc. Però chi non conosce il Collio bianco si è già fatto un’idea di cosa si tratta. Si tratta di un vino bianco intenso e strutturato che deve i profumi alla Ribolla o al Friulano e la struttura ampia alla Malvasia Istriana (che non è per niente aromatica).

Oggi i produttori, anche i cinque puristi della tipologia, impiegano un po’ di Sauvignon e talvolta di Chardonnay, ma il progetto è quello di scacciare gli stranieri e far leva solo su Ribolla (che è qui da almeno mille anni), il Friulano (cioè il Tokai) e la Malvasia Istriana. Via naturalmente il Pinot Grigio, che i puristi considerano la fonte della decadenza del Collio.

Il mercato non manca, ma parla quasi per intero tedesco. Gli austriaci in Collio sono di casa e del resto la zona era lo sbocco al mare dell’impero di Francesco Giuseppe. I tedeschi sono ottimi frequentatori della zona dove amano molto l’ospitalità negli agriturismi. Gli italiani sono più rari. L’export è valutato attorno al 25% della produzione, ma è difficile dirlo perché un terzo del mercato è occupato dalle vendite dirette ai turisti.

Lo sguardo al futuro coinvolge anche una prospettiva ancora più complessa. In realtà il Collio è rimasto per due terzi in quella che è oggi la Slovenia. Certo, oggi dalla Slovenia si va e si viene liberamente, ma per un vino transnazionale è un po’ presto. Ma anche questo è in conto. Dice Edy Keber che nessun architetto del passato ha visto il tetto delle chiese che ha disegnato. Tempo 50 anni e questa prospettiva sarà concreta.

Gianmichele Portieri

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