Cucina

Se il «tarocco» riesce a superare il prodotto originale

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Non è un fulmine a ciel sereno e forse neppure una sorpresa, ma fa un certo effetto scoprire che, secondo i dati diffusi da Coldiretti, il peso dell’agroalimentare italiano «tarocco», ovvero di prodotti sedicenti italiani in realtà prodotti nel resto del mondo, è poco meno del doppio del già consistente fatturato italiano di settore incassato all’estero. Da anni chiunque si è occupato con un minimo d’approfondimento di agricoltura, cucina e ristorazione denuncia l’autentica truffa del cosiddetto «italian sounding», ma che avesse queste dimensioni erano davvero in pochi a crederlo. L’export italiano in questo campo d’eccellenza è infatti attestato attorno ai 33 miliardi di euro, mentre il giro d’affari dei falsi prodotti agroalimentari italiani si aggirerebbe attorno ai 60 miliardi di euro.

«Gorgonzola» tedesco, salame «veneto» argentino, Sanmarzano Usa, sono solo alcuni dei nomi d’un florilegio del falso contro il quale sembra proprio che le autorità italiane e quelle europee riescano a fare ben poco. E il «tarocco» sta vincendo pure su prodotti italiani ben noti in tutto il mondo e conosciuti da decenni come peculiarità italiana al pari dello Champagne francese o del Pata negra spagnolo.

Il caso del falso Parmigiano Reggiano e Grana Padano portato all’attenzione generale solo qualche giorno fa è emblematico: le forme «tarocche» del prezioso ed inconfondibile formaggio hanno sorpassato per la prima volta nel mondo quelle degli originali proprio nel 2014, provocando addirittura il calo del valore delle esportazioni, in controtendenza al record fatto segnare all’estero dall’agroalimentare Made in Italy ma anche ai positivi risultati registrati da altri formaggi italiani.

I supermercati di tutto il mondo, da New York fino all’ultimo store canadese, da Mosca a Tokyo sono praticamente invasi da un’infinita di produzioni che fanno di tutto per essere scambiate dal consumatore per l’originale italiano. E curiosamente ciò avviene senza che non solo la politica italiana ed europea si muova a difesa delle tipicità del nostro Paese, ma pure senza che alcuna autorità locale, in America o in Giappone, si preoccupi di tutelare il proprio consumatore da una vera e propria incontrollata contraffazione truffaldina. Nel primo «Dossier sul mercato del Parmigiano Reggiano, tra crisi ed opportunità» presentato dalla Coldiretti in vista di Expo si legge infatti che nel 2014 la produzione delle imitazioni del Parmigiano e del Grana ha superato i 300 milioni di chili. Si tratta di produzioni per poco meno della metà realizzate negli Stati Uniti, dal falso parmigiano vegano a quello prodotto dalla Comunità Amish, dal Parmesan vincitore addirittura del titolo di miglior formaggio negli Usa, ma anche quello in cirillico che si è iniziato a produrre in Russia dopo l’embargo, il parmesao brasiliano, il reggianito argentino e il parmesan perfect italiano ma prodotto in Australia.

E sono solo alcuni degli esempi di falsificazioni che - denuncia la Coldiretti - tolgono spazio di mercato al prodotto originale soprattutto finiscono spesso per offrire un’immagine distorta dell’originale produzione italiana, tagliando così l’erba sotto i piedi anche a possibile iniziative di penetrazione italiana in nuove aree del mondo.

Se gli Stati Uniti sono i «leader» della falsificazione con le produzioni in Wisconsin, California e New York, le imitazioni sono molte diffuse dall’Australia al Sud America ma anche nei Paesi emergenti, mentre sul mercato europeo ed in Italia sono arrivati i cosiddetti similgrana di bassa qualità spesso venduti con nomi di fantasia che ingannano i consumatori sulla reale origine che è prevalentemente di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia. Una concorrenza sleale nei confronti degli autentici Parmigiano Reggiano e Grana Padano che devono essere ottenuti nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione.

Come se non bastasse, in Gran Bretagna si va diffondendo persino un Kit, venduto agli allevatori, che promette di produrre in casa una sorta di parmigiano. Questo kit per la produzione di formaggi «italian sounding», lo si vende nel Regno Unito ma lo si può comprare dappertutto; permette di produrre parmigiano ma anche mozzarella e ricotta e costa dai 30 ai 100 euro. Ovviamente il prodotto finale non ha nulla a che vedere con il nostro dop che necessita di 12 mesi di stagionatura, è solo un prodotto di imitazione con caratteristiche qualitative inferiori e non confrontabili, che però sviliscono la natura profonda del Parmigiano Reggiano, con tutta la sua tradizione lunga, dettagliata e faticosa che richiede.

«È un furto di identità e un danno al Made in Italy» dice Coldiretti. Ma nonostante denunce e manifestazioni d’ogni genere, l’Italia continua ad avere poca voce in capitolo. Ed è assai probabile che anche Expo finisca per non essere di grande aiuto.

Finto originale

Nel mercato mondiale gira ormai una quantità impressionante di confezioni «italian sounding», ovvero che sfruttano la popolarità dell’agro-alimentare italiano per commercializzare formaggi, pomodori, e pasta spesso di scarso valore e certo non realizzati in Italia, facendoli passare per prodotti «made in Italy». Il danno per l’Italia è stato quantificato da Coldiretti in 60 miliardi di euro

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