Cucina

Orgoglio altoatesino ma gli altri non stanno a guardare

Il concorso ha premiato le cantine della zona con un langarolo solo al decimo posto
AA

Altoatesini poco «ecumenici» quest’anno al celebre concorso abbinato alle Giornate del Pinot nero di Egna e Montagna. La classifica degli 80 Pinot nero è dominata dai vini di casa. I primi nove classificati sono tutti altoatesini con un langarolo a fare da decimo incomodo non senza merito, quanto meno quello di non aver voluto «copiare il compito», ma aver messo in bottiglia un Pinot nero (scarico di colore e garbato di profumi) che ricorda tanto un grande e fine Nebbiolo.

Non fanno così gli americani dell’Oregon che copiano spudoratamente lo stile Bourgogne.

Bourgogne che in ogni caso rimane una spanna sopra per morbidezza e complessità. Soprattutto imprime al suo vino principe uno stile inconfondibile (anche se, come notato, copiabile). Fuori dalla Bourgogne resta confermato che l’Alto Adige non ha rivali e non ne ha l’altipiano di Mazzon che ha conquistato il primo posto.

Débâcle invece per i trentini, con tre vini tra i top ten lo scorso anno, cui si può rimproverare semmai una carenza di tipicità, ma che in quanto a finezza (soprattutto nei Pinot nati in quota) non hanno nulla da imparare.

Sorprese? Almeno una sì. Se vi capita, assaggiate il Pinot nero di Anton Bauer di Wachau, la zona emergente dell’Austria. Ha una eleganza e una continuità infinite a livello dei migliori. Lo stile è più vicino a quello altoatesino che a quello borgognone, con sentori di frutti di bosco maturi e un po’ appassiti. Un autentico spettacolo.

Le Giornate del Pinot nero hanno portato a concorso, per la tredicesima volta, 80 vini da quasi tutte le parti del mondo, persino dalla Nuova Zelanda e dall’Argentina (che hanno climi freschi e adatti al vitigno), ma hanno portato a Egna anche la Sicilia che con il Pinot nero appare in contraddizione climatica.

Malgrado la internazionalità del parterre, la rassegna resta solidamente e gelosamente locale. Persino il pubblico delle degustazioni di domenica e lunedì non era di appassionati di vino, ma di fedeli, convinti e selettivi appassionati di Pinot nero arrivati anche dai vicini Paesi di lingua tedesca.

Nessuna concessione al pubblico. Il vino veniva servito dalle ragazze del posto, carinamente mute, schierate dietro una batteria di 10 bottiglie numerate. La parola era tutta ai bicchieri e a qualche sommesso commento tra esperti.

I vini erano tutti dell’annata 2011, annata più che discreta, salvata da un autunno caldo, che non ha lesinato finezza, ma non ha dato vita a grandissimi vini. Va poi notato che il 2011 non è uguale per tutti. Per i vini della Bourgogne va bene, per i vini dell’Alto Adige va benino, i trentini sono penalizzati dalla giovinezza evidente del prodotto, per l’unico franciacortino che si è messo in competizione il 2011 si è rivelata una scelta forzata. L’unico bresciano ad Egna era l’Arturo di Ronco Calino che per l’azienda di Adro è una bandiera (Arturo dell’etichetta è Arturo Benedetti Michelangeli) che ha bisogno di ben altro tempo per evolvere. Annuncia profumi intriganti di spezie e cuoio e un corpo tonico. Lasciategli il tempo di diventare grande.

Il concorso è stato dominato dai vini locali. Il primo posto è andato al Trattmann della cantina di Girlan (in italiano Cornaiano) che coltiva le uve nella zona mitica alle spalle di Egna. Secondo posto (ma per un solo punto) al Sanct Valentin della cantina di San Michele di Eppan (in italiano Appiano).

Terzo posto per Riserva Zeno della cantina di Merano (a due decimi di punto dal secondo). Meraviglioso il primo classificato, con i suoi rimandi di more e liquerizia, e una persistenza inesauribile. Personalmente ci siamo fatti incantare di più dal piazzato che profuma di lampone, incenso e cedro e, soprattutto sfodera una freschezza meno compressa.

Andando a curiosare tra gli altri, ci è piaciuta molto l’immediatezza de «Le Stroppe» dei fratelli Zanotelli trentini della val di Cembra, bella la ciliegia di Forte di Mezzo di Maso Cantanghel di Lavis, più strutturato e più «di pianura» il Piana di Castello di Endrizzi che è proprio nella piana Rotaliana. E gli stranieri? Della Bougogne abbiamo assaggiato un Pinot di Vosne Romanée ed uno di Nuit St George. Perfetti. Non male anche il loro clone americano dell’Oregon, solo un poco meno rotondo e continuo.

Tipico anche il neozelandese di Marlborough. Dell’austriaco di Wachau si è detto.

Il tutto insegna una cosa fondamentale: il Pinot Nero è «rognoso» da curare in vigneto, ma lo è altrettanto in cantina. Se il cantiniere è bravo (o bravissimo come Hans Terzer della cantina di Appiano) si rimedia a molto. Altrettanto sicuro è però che la ricetta non è esportabile: qui si devono inseguire i tannini (sempre dolcissimi), altrove si deve bloccare il calo dell’acidità (che in certe zone è vderamente troppa).

Ma se così non fosse il Pinot nero non avrebbe tutto il fascino che promana.

Gianmichele Portieri

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia