Cucina

Mangeremo gli insetti? Un futuro certo ma lontano

Potremmo averne grande necessità solo nel 2050. Le proteine da questi animali sono ecologiche, ma care
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Il tema, non si può negare è sul tavolo: nel 2050 saremo 9,6 miliardi di individui e sarà dura, dice la Fao, dar da mangiare a tutti. Con un biscotto alla farina di grillo sotto i denti, insieme ad una eterogenea platea che ha gradito l’assaggio (5 su 70 i rifiuti), ci vien da fare alcune considerazioni che ci conducono a dire che il passaggio agli insetti non è ancora una necessità per noi e che ci si può avviare a quella possibile prospettiva senza isterismi. A meno che mangiare insetti non diventi una moda, cosa non da escludere perché chi è ghiotto di lumache faticherà a spiegarci che difficoltà ha nel mangiare bachi da seta. Si nutrono allo stesso modo ed hanno, senza condimenti, un piacevole sentore erbaceo.

Magazzino Alimentare, la cooperativa che tiene corsi a Cast Alimenti, a Brescia, ha organizzato una serata per capire se e quando ci toccherà mangiare insetti. L’interesse è stato moltissimo, ma è serpeggiata qualche delusione. C’era chi avrebbe voluto misurarsi con uno spiedino di grilli. L’approccio di Magazzino Alimentare è però stato corretto perché mangiare gli insetti è proibito in Italia e l’approccio prossimo venturo sarà quello di introdurli nella nostra dieta come farine proteiche. In questo caso il gusto (e l’eventuale reazione schifata) del grillo non c’entrano proprio. Ed anche il sapore si perde in mezzo ad altri ingredienti.

Però, siccome il modo è globale, potete fare una esperienza andando sul sito francese insectcommestibles.fr che vi venderà, tra l’altro, una scatolina di prova con sei insetti diversi da assaggiare, dice il sito «soli o in compagnia».

Potremo scoprire così che i bachi da seta sanno di erbaceo e sono coriacei in bocca, la camola del miele vi farà pensare di magiare pinoli. Grilli e cavallette hanno sapori tenui si prestano più alle preparazioni che mangiati crudi (ottimi però pastellati e fritti a dovere).

Va detto che nel complesso un mezzo chilo di insetti l’anno ce lo mangiamo comunque incorporato in cibi tradizionali. Si pensi poi a tutti i cibi rossi che contengono l’E120 che altro non è che cocciniglia femmina accuratamente schiacciata o l’E 904 che rende lustre la caramelle che pure viene da un insetto.

Il resto degli insetti lo mangiamo per quella piccolissima parte di insetto consentita dai Nas nei cibi di tutti i giorni. I mangiatori di formaggio «che cammina» superano ovviamente questa quantità.

La premessa è per dire perché sì e perché forse agli insetti nel piatto.

Il primo motivo del sì è che nel 2050 non si avrà carne per tutti. Se i cinesi dovessero tutti mangiare bistecche come gli americani (102 kg l’anno) non ci sarebbe carne per tutti. Ma accadrebbe anche se si accontentassero di pollo. Oggi un cinese mangia un pollo la settimana, se solo passasse a due sarebbe un disastro.

È però un dato di fatto (probabilmente inarrestabile) che la crescita sociale dei popoli si accompagna al passaggio da una dieta vegetariana ad una carnea. A quella non lontana data non avremmo pascoli abbastanza e la produzione di cereali dovrebbe decuplicarsi per dar da mangiare a un esercito sterminato di bipedi e quadrupedi. Il problema a questo punto sarebbe di sostenibilità ambientale, perché produrre un kg di carne di manzo costa, in termini globali, 22 mila litri di acqua. Ecco allora il vero problema: l’acqua potabile mancherà prima delle bistecche e il grillo si accontenta di poche gocce. A favore degli insetti va l’ottimo indice di conversione in cibo: 1,7 kg di mangime per un kg di grillo, 8 kg di mangime per una bistecca da un kg.

Tutto verissimo, ma Il club di Roma nel 1972 aveva previsto che, con 7 miliardi di abitati, non ci sarebbe stato cibo per tutti. La data del disastro era il 2010. Dove stava l’evidente abbaglio? È vero che dal 1972 la popolazione è raddoppiata, ma è anche vero che l’agricoltura ha triplicato il volume dei suoi raccolti.

Il problema è sapere che fine fa la terra di fronte ad una coltivazione così intensiva. La risposta è allarmante: la fertilità si va spegnendo e la terra coltivabile è già utilizzata tutta o quasi. Il caso del mare è emblematico: abbiamo tanto desertificato il mare che nel 2014 la produzione di pesce allevato ha superato quella di pesce pescato.

È comunque certo che nel 2014 c’è da mangiare per tutti. La Fao festeggia il risultato che ha portato, dal 1990 in qua, a ridurre del 40% la gente che ha fame. Già, ma l’11,5% degli uomini rimasti alla fame sono pur sempre quasi un miliardo di anime che non hanno niente da festeggiare.

La fame, notiamo tra parentesi, non è dovuta a carenza assoluta di cibo, ma ad ingiusta distribuzione delle risorse. La Coldiretti ci fa sapere che stima in 1,3 miliardi di tonnellate il cibo buttato ogni anno. E benedetta la crisi che ha ridotto gli sprechi. Ma ci fa anche sapere che metà del cibo buttato viene scartato nei Paesi della fame (anche per cattivi sistemi di conservazione). Così due miliardi di persone consumano insetti per sfamarsi, e si leccano pure i baffi e noi buttiamo buon cibo occidentale.

E i grilli? L’impressione di chi scrive è che per ora rimangano una curiosità gastronomica ormai diffusa in Canada ed in Belgio, ad esempio. Con un corollario che da noi vigono i sacri principi della precauzione. In pratica, per avere la certezza che l’insetto che mi metto in bocca nell’Ue sia sano è necessario che sia allevato e non sia andato in giro per la natura inquinata ad assorbire schifezze (come capita ai pesci al mercurio). L’esito finale è che un kg di grilli costa oggi più di una bisteccona.

Così, partiti dalle più appassionate preoccupazioni per il mondo, giungiamo alla conclusione che, per ora, gli insetti li dovremo andare a mangiare al Noma di Copenaghen, il locale tristellato che li ha in carta.

Ma forse la Fao non vuole che finisca così. 

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