Cucina

L’Igp trevisano: buono, pregiato e costoso

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Gli chef lo adorano e lo usano in mille preparazioni, è piuttosto costoso (ma quei soldi li merita) ed ora si rischia anche di fare fatica a trovarlo.

Il Radicchio di Treviso, quell’ortaggio color bianco e vinaccia, dalle costole croccanti, che si può mettere sulla griglia, ma anche farci una torta, è protagonista di un incredibile boom. In dodici anni, dal 1999 al 2011 si è passati da 2.000 a 20mila tonnellate di produzione all’anno e si fatica a star dietro alle consegne. La produzione si è decuplicata in dodici anni e il presidente del Consorzio Paolo Manzan, dice sconsolato:«Vorremmo esportare, ma non abbiamo prodotto neppure per il mercato interno».

Nato come ortaggio povero per l’inverno per assicurare un po’ di vitamine alle famiglie contadine del Trevigiano, è diventato un ortaggio scaccia crisi. Manzan racconta che un amico gli ha chiesto consiglio per il figlio fresco di laurea: «Ho tre ettari da regalargli. Che dici, mettiamo giù il radicchio?».

Lavoro duro per un giovane laureato (si raccoglie d’inverno quando gela e con qualsiasi tempo), ma è vero che con 3-4 ettari una famiglia ci campa.

Siamo andati a vedere come nasce il vero Radicchio Rosso di Treviso Igp e l’occasione è stata buona anche per chiarirci le idee sulle tipologie di questo ortaggio.

Il Consorzio, nato nel 1996, con un nome chilometrico, in realtà tutela tre ortaggi diversi: il Radicchio Tardivo, il Radicchio precoce e il Variegato di Castelfranco.

La tipologia pregiata è la prima, le altre sono più semplici da produrre e, inevitabilmente, meno costose anche per il consumatore.

Partiamo dal Radicchio Rosso di Treviso Precoce. Si produce in campo. L’imbianchimento, che da origine ad un gruppo di foglie bianche e rosse, si ottiene in campo chiudendo le foglie verdi della pianta seminata in estate, con un elastico. Le foglie interne, prive di luce, diventano bianche. Quelle esterne si buttano.

Il Variegato di Castelfranco è viceversa tutta un’altra cosa. Si presenta con bei cespi verde pallido con macchioline rosse. Si può usare per le zuppe, ma la morte sua è l’insalata. Anche questo si produce in campo.

Il principe dei radicchi, il ricercatissimo Rosso di Treviso Igp, richiede invece due anni di lavoro e un lungo procedimento rimasto invariato dai primi anni del ’900.

Abbiamo seguito passo per passo la produzione guidati da un entusiasta presidente del Consorzio, produttore a sua volta.

Il Rosso di Treviso si mette in campo a fine luglio quando sono spuntate le piantine. Cresce rigoglioso, con il poco invitante aspetto di un cavolo bruttino, fino alle prime gelate. Ce ne vogliono almeno due per completare l’opera. Quindi la raccolta inizia a novembre per continuare durante l’inverno (meglio se è rigido).

Gli sgraziati cespi di radicchio vengono raccolti, portati in cascina, messi in grandi vasche piene di acqua di risorgiva che è tiepida ad almeno 12 gradi e al buio. Qui nascono le foglie bianche e rosse che prediligiamo. Tutto, ma proprio tutto il resto (le foglie verdi prese dal campo e tutte le radici) si butta. Il lavoro di ripulitura, che fa sbocciare il radicchio rosso, si fa ancora a mano.

Fin che fa freddo si va avanti, ma c’è il progetto di mettere in fresco le piante colte dal campo per farle imbianchire in aprile per allungare la stagione, che diversamente, soprattutto con il riscaldamento climatico è assai breve.

Naturalmente, spiega il presidente, il Radicchio Igp deve avere delle pezzature giganti. Se non le raggiunge, si mangia ugualmente, ma senza marchio. Il Consorzio enfatizza nella sua comunicazione che l’ortaggio richiede due anni di lavoro. In effetti è vero, perché la semente si può raccogliere dai fiori blu solo a fine estate. Verrà buona l’anno seguente. Inoltre nei 24 Comuni in cui è consentita la coltivazione si usa la buona pratica della rotazione agraria (un anno di radicchio e due a grano) per evitare infestanti.

Se d’ora in poi vi sembrerà un po’ caro, sapete il perché.

Gianmichele Portieri

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