Cucina

Con il vino giusto uno più uno può anche fare... tre

La regola aurea è quella dell’equilibrio. Sono però ancora molti i sapori che possono creare difficoltà al sommelier
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Abbinamento cibo/vino eterno problema: ne abbiamo già scritto nelle scorse settimane e vorremmo chiudere con alcuni dei casi più emblematici. In effetti i piatti che complicano la vita al sommelier sono parecchi e la risposta non è quasi mai una sola. Il limone e l’aceto sono di solito indicati come componenti che impediscono l’accostamento al vino. Vero solo in parte, perché se il limone è usato con parsimonia e l’aceto è il balsamico tradizionale, l’accostamento di successo si può fare.

Per orientarci nel complicato mondo degli abbinamenti, abbiamo seguito i consigli di Costantino Gabardi, sommelier, esperto di vino ma anche di cucina e di mestiere brand manager di importanti case vinicole.

Diciamo subito che, se nell’accostamento al piatto si azzeccano il giusto livello di corposità (la cosiddetta struttura) e la persistenza aromatica, si è fatto un bel passo avanti e si può invocare il perdono sui dettagli. In sostanza l’abbinamento funziona quando il cibo non prevarica sul vino (e viceversa) perché uno dei due è più «forte» dell’altro. Peggio ancora se il piatto è molto persistente e il vino scompare subito dal palato.

Il primo errore che si può fare (ed è abbastanza comune) è quello di esagerare con il vino con piatti delicati. Non è vero che una buona bottiglia va bene su tutto o quasi.

Ma addentriamoci nei casi «difficili».

In linea generale il limone e l’aglio annientano la sensazione del vino, ma per cadere in questa drastica conclusione è necessario che lo chef ci sia andato giù pesante. Un bravo chef sa mediare i profumi troppo forti, soprattutto quelli dei piatti della tradizione. Un po’ di panna o meglio di burro al momento giusto, fanno spesso miracoli.

Ma ecco i casi difficili almeno secondo l’esperienza di Gabardi.

Gli affumicati (a cominciare dal salmone) vanno male con il vino. Meglio una birra morbida o del whisky con acqua.

Il limone può abbinarsi benissimo se la sua acidità è contrastata da altri componenti come la cipolla. Se è usato con parsimonia nella marinatura, non crea ormai nessun problema. Anche per l’aceto si deve tener conto delle dosi. Quando è troppo, il vino diventa insopportabile a meno che non sia un vinello così privo di acidità da non contrastare quella dell’aceto. Ma forse, per un vinello così, non vale la pena. Del resto le insalate in genere sono inconciliabili con il vino.

Anche i carciofi crudi creano qualche problema perché sono ricchi di tannino che darebbe un sapore metallico ad ogni vino. Ma se sono cotti e usati come ingrediente, non ci sono problemi. Quasi la stessa cosa si può dire per gli spinaci e i finocchi, mentre gli asparagi, malgrado il fondo amarognolo, vanno benissimo con un vino bianco aromatico o semiaromatico come il Sauvignon.

I cibi molto salati come le aringhe andrebbero meglio con la Vodka, che però al nostro palato non risulterebbe gradevole. Si può provare con un vino bianco molto alcolico e quindi morbido.

La frutta fresca non va con il vino salve poche eccezioni come ad esempio le fragole con il Brachetto o con il Recioto e il melone con il Porto.

Il gelato esalta troppo la freschezza del vino facendo sembrare acido il più dolce dei passiti. Meglio lasciar perdere. Se proprio non si resiste, Gabardi consiglia un Muscat del Beaume de Venise, un vino della valle del Rodano poverissimo di acidità, ma un po’ difficile da trovare.

Una cosa che risulta ardua quando si stappa una bottiglia a casa propria è il controllo della temperatura. Spesso i vini bianchi sono serviti troppo freddi, cosa che va benissimo se si vuole far emergere l’acidità, ma non va bene se si tratta di un bianco importate da accompagnare ad un piatto ricco di sapore. I vini rossi, si dice, vanno serviti a temperatura ambiente. Si tratta di una indicazione poco sensata se si cena con 30 gradi. In questi casi non vergognatevi di chiedere il secchiello del ghiaccio da usare almeno per qualche minuto. Normalmente i rossi vanno serviti a 18 gradi, un po’ di più quelli molto vecchi ancora di più quelli vecchissimi.

Ma, nella cura dei dettagli, si può andare oltre. Una fiorentina al sangue e irrorata di abbondante olio crudo ha tutto da guadagnare se il vino (rosso) è più fresco di un paio di gradi. Se invece vi piace ben cotta (e magari ci macinate generosamente il pepe), il vino potrà essere un paio di gradi più caldo, risulterà così più morbido.

Non è vero, infine che cambiare molti vini durante la cena fa venire il mal di testa.

Il mal di testa è figlio soprattutto della anidride solforosa (i solfiti che trovate anche in etichetta) che è (o meglio dire «era») presente in misura maggiore nei vini bianchi giovani e nei rosati come il Chiaretto. Per fortuna se ne mette sempre meno anche nei vini che, per legge, la devono dichiarare. In ogni caso la solforosa rovina solo la digestione.

Gianmichele Portieri

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