Una buona legge non è un Carnevale ma diritto diffuso

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Ho letto con interesse la lettera dell’amico Federico Vincenzi, pubblicata in data 3 febbraio e titolata «Meglio la Pasqua d’un illusorio e lungo Carnevale». Conosco da tempo Federico, conoscenza dovuta prima alla comune partecipazione - da adolescenti - alla stessa squadra di calcio, ed in seguito - da giovani adulti - alla frequenza della medesima facoltà universitaria. Pur avendo avuto modo di apprezzarne la misura e la pacatezza sia dei comportamenti come delle opinioni, in questa circostanza non riesco a non cogliere, ben camuffato da una prosa elegante e scorrevole, un sostanziale declassamento di merito espresso nei confronti di chi non abbia la sua medesima visione. Personalmente, pur non condividendone scopi ed obbiettivi, non ho provato irritazione per i partecipanti al Family Day; per quanto ovvio ogni manifestazione, condotta in modo educato ed ordinato, è degna di attenzione e di riflessione, a maggior ragione quando gli aderenti sono così numerosi ed i temi trattati così personali e delicati, tali da investire in pieno la sfera emotiva ed affettiva delle persone, sia come singoli individui che come associazioni. Partecipazione numerosa, dunque, anche se assai lontana da quanto dichiarato; chiunque conosca e abbia consuetudine con Roma, e magari sia stato presente in occasione di eventi rari come la giornata mondiale della gioventù del 2000, sa che la cifra accreditata è di gran lunga sproporzionata rispetto alla realtà dei fatti. Non è certo questo il punto; però sarebbe interessante indagare il motivo che ha indotto gli organizzatori a sparare così in alto. La questione credo si debba porre in un altro modo; come mai ancora oggi, da una parte e dall'altra, si faccia fatica ad accettare le rispettive sensibilità, tanto da paragonare ad un effimero e fatuo Carnevale le emozioni di chi non abbia sviluppato una vita religiosa, oppure considerare un abietto oscurantista chi la pratichi quotidianamente. Compito di uno Stato laico, veramente laico, è quello di assicurare a chiunque di poter liberamente declinare la propria personalità, senza ledere diritti altrui e nel rispetto delle minoranze. Da eterosessuale, divorziato, convivente con due bimbi, mi chiedo in cosa io e la mia famiglia possiamo costituire una minaccia per quella oggigiorno - a mio avviso impropriamente - definita tradizionale, come se ne esistessero di innovative o sperimentali. Mi chiedo anche come l'assenza in me di fede cattolica possa pregiudicare quella dei credenti, per i quali nutro un sincero senso solidale. Mi chiedo come riconoscere ad una coppia, felice ma dello stesso sesso, diritti e doveri - perché dei doveri non si parla mai - possa costituire offesa a qualcuno. Ma una cosa soprattutto mi spiace della disputa in atto; che si parli solo della cosiddetta steepchild adoption, una delle tante questioni toccate, sicuramente la più controversa, quando il portavoce del movimento promotore del Family Day ha chiaramente espresso di respingere la proposta di legge completamente, in ogni sua logica. Ecco, direttore, a differenza di Federico ho sempre apprezzato, oltre alla gioa, anche i colori, senza ritenere che quelli che percepisco io siano più luminosi o brillanti di quelli percepiti da altri. Preferisco praticare un ragionevole dubbio, invece che un'ostentata certezza. Per ultimo mi conceda, caro direttore, di mandare un abbraccio a Federico ed alla sua famiglia, che sono certo sia splendida, augurando loro una serena Quaresima ed una felice Pasqua.

// Enrico Maifredini
Roncadelle

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