La gioia del Cristo risorto e il ricordo di antica miseria

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Il più bello deve ancora venire! Ogni sera, quando il giorno ha finito di pitturare il tramonto, io vado a Lourdes sulle onde di una radio che mi porta alle rive del Gave. Lì, c’è una Madonna che pare una nuvola bianca nel cielo buio dei miei dubbi. Mi piace ripetere, con chissà mai quante persone, la nenia dolce delle orazioni, ripeto anch’io quel «mamma mamma» dell’infanzia e continuo a credere che una madre se non cede per amore è costretta a cedere perché non ne può più. E il rosario, per me, è il prototipo gentile di una prepotente insistenza. Mi piacciono i Misteri del gaudio della luce della gloria, l’annuncio di Gabriele, le nozze, la santa capanna, la colomba che scende. Non sopporto i misteri del dolore. Chiudo gli occhi e schiaccio le mani sulle orecchie. Non ce la faccio. Sto male. Quei mosaici di spine e flagelli, quel Gesù perennemente inchiodato mi spaccano il cuore. Non ce la faccio. Anche in casa mia c’è il simbolo della croce, ma è nuda, sempre lì per attaccarci i nostri dolori e per lasciarci abbracciare da quelle braccia ferme nel gesto «Ti voglio bene tanto così». Io sono per il Cristo risorto. Nel giorno di Pasqua trionfa sull’altare la statua col manto luminoso che vola leggiadro e ho spesso detto ai vari preti: «perché non la lasciate sempre questa statua»? Nessuno mi ha accontentata. Quando, qualche anno fa, sono andata a Roma dove ci sono tutti quei bei negozietti di santi e santini, mi sono comperata un risorto di maiolica bianca rosa azzurrina, è lì pronto perché me lo mettano tra le mani quando si fermerà il mio cuore. E poi vorrei anche tra le mani una forchetta perché sono troppo innamorata della piccola storia che adesso vi racconto. Marianna è molto malata. Sente di avvicinarsi al cielo. Chiama il sacerdote per essere benedetta e per affidargli alcuni desideri. «Desidero andare in Cielo vestita di bianco»; «Desidero andare in Cielo con il suono di un pianoforte sul mare»; «Desidero andare in Cielo con in mano una forchetta». Il sacerdote trova logici i primi due desideri, ma che c’entra la forchetta? Marianna a fatica racconta: Eravamo tanto poveri. Anche nonna Lucia era tanto povera e viveva in una povera casa. Quando andavamo da lei, preparava poveri cibi. Ma quando diceva «Tenete la forchetta»! voleva dire che il più bello doveva ancora arrivare. Una torta? Un budino? Le frittelle? Eravamo pieni di gioia, la forchetta giocava nelle nostre meni perché il più bello doveva ancora venire! Marianna sorride al Cielo che le viene incontro. Il sacerdote si inginocchia e piange. Ma lo sapete che anch'io, quando guardo una forchetta penso: «Il più bello deve ancora venire».

// Elena Alberti Nulli
Monticelli Brusati

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