Festa del papà, il grazie che non ho potuto dire al mio

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Poco pubblicizzata rispetto alla Festa della mamma, è bello dare risalto anche alla Festa del papà. È una delle feste sì troppo commercializzate: scontato dire che donne, mamme, papà, nonni si devono amare ogni giorno. Tuttavia se queste ricorrenze sono vissute come un’occasione in più per dimostrare affetto verso chi ci ha dato la vita, ben vengano. I papà della generazione del mio, mancato prematuramente ben quasi 45 anni fa, erano molto severi, poco inclini a lasciarsi andare in tenerezze: uomini cresciuti in un’epoca che li identificava lavoratori, dal carattere duro, mai una lacrima, con la moglie e con i figli, educati con molto rigore. Ora si vedono papà dedicare molte attenzioni ai loro piccoli, accudirli con scioltezza e tenerezza. Noi di mezza età, per la maggior parte, non abbiamo goduto di questa affettuosità, colpa di una mentalità che differenziava nettamente ruoli definiti femminili, considerati inadatti per il maschio. Io mi ritengo fortunata perché essendo l’ultima delle sorelle, ho avuto qualche gesto d’affetto in più da mio papà, tuttavia resta la nostalgia per averlo perso troppo presto e il rimpianto di non aver avuto il tempo per scoprire il suo lato sensibile più nascosto. Sicuramente, come lo è stato con il mio primo nipotino, l’unico che ha potuto conoscere il nonno e che il nonno ha adorato, altrettanto affetto da mio papà avrebbero goduto sicuramente gli altri nipoti e probabilmente si sarebbe un po’ addolcito anche con noi figlie. Un grazie a mio papà, fra i tanti che vorrei avergli detto, è per il carattere forte che mi ha trasmesso, insieme alla mamma. Qualità che se a volte lo faceva sembrare esageratamente duro, in realtà è stato per noi un esempio di forza e dignità, mai abbandonata neppure durante la malattia. Un augurio speciale a mio marito, papà dei miei figli.

// Ornella Olfi
Montichiari

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