Anche il «montagnì»merita di essere sulla stele dei caduti

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Un «montagnì» dimenticato sul fondo del Mediterraneo. Nel dialetto bresciano della pianura, «Montagnì» erano detti coloro che dalle valli scendevano in pianura o a svernare transumando con le mandrie di vacche o a stabilirvisi definitivamente prendendo in affitto terreni. Erano perfettamente riconoscibili perché il dialetto, unico linguaggio allora correntemente usato, tradiva immediatamente la zona di origine. Il termine veniva utilizzato sia per marcare bonariamente la differenza d’origine sia per accentuare una differenza socio culturale. I genitori di Francesco Bonetti, soldato ghedese morto nella battaglia navale delle secche di Kerkennah il 2 dicembre 1942, erano originari della Val Seriana. Di Gandellino il padre, di Valgoglio la madre e quindi «montagnì» a tutti gli effetti. La famiglia, prima di arrivare a Ghedi, dopo avere abbandonato la Val Seriana, aveva vissuto qualche lustro a Orzivecchi, dove era nato Francesco, ultimo figlio di questa coppia di contadini valligiani scesi in pianura a cercare un futuro diverso. Maria Rosa Fornoni, la madre, aveva avuto questo figlio alla soglia dei quarant’anni e come succedeva in molte famiglie di contadini questo ultimo figlio era il più coccolato dai genitori e dai fratelli. Ghedi, in quegli anni, stava vivendo la più forte immigrazione della sua millenaria storia, immigrazione che avrebbe modificato in maniera sostanziale il suo tessuto sociale. Le bonifiche, iniziate qualche decennio prima, avevano reso disponibili all’agricoltura moltissimi ettari e per coltivarli erano arrivati agricoltori e contadini da ogni dove: dalle valli bresciane e bergamasche, dalle province vicine e dalle zone della «Bassa» dove l’agricoltura era più avanzata. Francesco Bonetti, ultimo di 5 fratelli, nato durante la «sosta» della famiglia a Orzivecchi, prima tappa del loro peregrinare nella «Bassa» alla ricerca di migliori condizioni economiche, era arrivato a Ghedi a metà degli anni ’30, con il papà Giovanni, la mamma Maria Rosa e i suoi fratelli. Dalle notizie che si hanno, a Francesco non interessava un granché né di «spezzare le reni alla Grecia» né di difendere la «quarta sponda», ma tant’è, la guerra scoppia pochi mesi dopo che lui ha finito il servizio militare e viene immediatamente richiamato al 92° reggimento di fanteria, facente parte della divisione «Superga», di stanza a Torino. Lascia la cascina «Marinetta» e parte per Torino ignaro come tutti i ragazzi di allora, di ciò che lo avrebbe atteso. Le vicende militari vollero che la divisione di fanteria «Superga», fosse addestrata per compiere l’«invasione di Malta». Invasione che non avvenne mai, ma per la quale furono fatti innumerevoli piani militari di cui il 92° reggimento avrebbe dovuto essere lo strumento operativo. A seguito di questo progetto mai realizzato, per altro, la divisione «Superga» fu trasferita prima in Campania e poi in Sicilia, base logisticamente più vicina per l’attacco a Malta. Nonostante il persistere degli attacchi degli inglesi che affondavano gran parte dei convogli che portavano rifornimenti all’esercito in Libia, nell’autunno del 1942, i vertici militari abbandonano definitivamente l’opzione dell’occupazione di Malta e per la Divisione «Superga», compreso il 92° reggimento, fu deciso il trasferimento in Tunisia. Decisione fatale. Francesco Bonetti fu imbarcato, a Napoli, con alcuni reparti del 92° reggimento, la sera del 30 novembre 1942 sul piroscafo «Veloce» che, scortato dal Cacciatorpediniere «Lupo», avrebbe dovuto far rotta verso la Tunisia per scaricare i reparti del 92° e proseguire poi verso la Libia con il resto del convoglio denominato «convoglio C». Il convoglio fu invece attaccato dagli Inglesi che, ironia della sorte, partendo proprio da Malta affondarono la sera del 2 dicembre, nei pressi delle secche di Kerkennah, davanti alle coste Tunisine, la «Lupo» e il «Veloce». Le due navi furono colate a picco dagli inglesi in due tornate di attacchi. Le vittime accertate e i dispersi furono circa 200, tra i quali anche Francesco che, di certo, a tutto poteva essere preparato, fuorché di finire in fondo al mare. Nel 1961, con decreto del Comandante del Distretto militare di Brescia viene concessa a Francesco Bonetti la Croce di Guerra. Un ombra, però, ha aleggiato e aleggia tutt’ora, sulla morte di questo ghedese, nessuno ha pensato di mettere il suo nome fra quelli scolpiti sulle steli commemorative del Monumento ai caduti, in Piazza Roma, che ricordano i soldati ghedesi uccisi nei due ultimi conflitti Mondiali. Ma noi ghedesi siamo fatti così, non abbiamo una gran cura del nostro passato. Certo, un niente, di fronte ai problemi di oggi, ma la democrazia e il vivere civile sono fatti anche di ritualità e condivisione. Onorare i caduti in Guerra non significa onorare «la Guerra», la nostra Costituzione ha definito e delineato, senza equivoci, il significato che, per gli Italiani, deve avere l’uso delle armi. I nostri concittadini morti durante i conflitti militari vanno ricordati e onorati perché hanno sacrificato la loro vita per tutti noi, indipendentemente dal fatto che, a nostro avviso, la guerra fosse «giusta» o «sbagliata».

// Ludovico Guarneri
Ghedi

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