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Dalla vecchia ghiacciaia al design spazial-baristico. È la Composita

A Rezzato, la falegnameria che affonda le radici ai primi del '900. Dai mobili per la Wührer alle nuove tendenze di bar e negozi: l'arredo comunica chi sei
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REZZATOMettete accanto una vecchia ghiacciaia, quella specie di cassaforte in cui si conservavano pepite di ghiaccio grosse come parallelepipedi, alle vene di legno fine e di marmi pregiati delle nuove case-bar di tendenza, dove ogni taglio di luce, ogni poggiolo e ogni angolo acuto di spazio sono studiati per star bene e vendere bene e avrete due pagine di storia di Composita, di questa azienda presa dai padri e ripresa dai figli e dagli amici dei figli.
Il fondatore di questa futura Composita, ci spiega il figlio Bruno, è Giovanni Arrighini, classe 1894. Gli piace fare il falegname e nella prima guerra perfeziona la mano e l'idea della linea soprattutto a Torino, sfruttando l'insegnamento di un ingegnere che gli offre le basi di disegno e meccanica del tempo.
Negli Anni Venti produce ghiacciaie per la Whürer che le concede in comodato alle birrerie del tempo. Nel 1960 chiama il suo miglior dipendente, Girolamo Consuma e gli cede l'azienda.
Fortuna e bravura anche per Consuma. Il figlio Pierino Consuma crea due aziende, Consuma Celle e Consuma Arredamenti. Il figlio di Giovanni, Bruno Arrighini si beve 13 anni di banca e nel 1987 torna nella "foresta del padre", riannusa i trucioli della falegnameria alle spalle degli uffici, in via Industriale a Rezzato, confidenzia l'idea con un amico Marco Belleri di altrettanta sensibilità spazial-baristica e rileva la Consuma Arredamenti, battezzando il tutto con il nome di Composita, secondo i significati della classicità latina; Composita per dire cose composte e armoniche, misurate e desiderate di vivere, mobili da vivere e da ammirare.
Eccoli, Bruno Arrighini e Marco Metelli, il primo risidore il secondo esploratore, di mercati e di inventiva progettuale.
Come prosegue dopo il padre, la storia di Composita, dove guarda?
«Osserviamo il termometro migliore di ogni impresa economica: il mercato e la strada. Non si mangia più a casa, la sera reclama un'ora di ritrovo prima di rientrare, i bar non riescono più a ospitare con il calore e la comodità di un tempo, tutto muta e tutto deve mutare».
Addio vecchio bar, dunque?
«Attenzione, potrà ritornare anche il vecchio bar, con concezioni nuove, materiali e posizioni studiate e rinnovate, non chiuderemmo la partita sul valore del bar. Ma adesso va adattato, anzi deve precedere il desiderio del cliente, dell'amico del bar. Si rinforza il concetto di "arredo comunicante"».
Siete come mastro Geppetto, costruite mobili parlanti?
«Bella, questa dei "mobili parlanti". Noi curiamo una creazione di valore artigianal-artistico, non produciamo in serie. Tutto è personalizzato secondo il tipo di bar, il tipo di forneria, il tipo di posizione poiché è un conto arredare un bar in piazzale Arnaldo e un conto in altre piazze. Il concetto di bomboniera che coltiviamo si riferisce proprio al rapporto di simbiosi tra luogo e ambiente, spazio aperto e chiuso. Per esempio, il Duomo è Gianni e Claudio Zilioli, l'eccentrico è Notre Dame all'Arzaga Golf Club e poi il Museo del Vino di Villa Mazzucchelli o gli uffici della Fondital in Valsabbia».
Altri nomi dei vostri gioielli.
«Sirani a Bagnolo Mella, Zilioli, Lanzani, Pasticceria Veneto, San Carlo, la Pasticceria Roberto a Erbusco, l'Altopalato Fine Sweet, Caffè Mokasol, Caffè Palestro, Chocolat di Rovato, il Barlume a Iseo, la forneria gastronomia bar a Bovezzo e poi altri, diversi...».
Quanto costate?
«Dai 30 ai 200mila. Dipende dalle esigenze. I nostri clienti non sono finanziati; cambializzazione da 6 ai 36 mesi. È un tempo difficile, competizione dura. Però il bresciano ha 4mila caffè. Bacino notevole»
Quanti siete a Composita a fare questa partita tra design e tradizione?
«10 dipendenti più 2 soci per un fatturato di 2 milioni e mezzo. 80% produciamo su nostro design, 20% agli architetti».
La creazione del cuore?
«D'Annunzio aveva regalato il bar per saldare una parte di debito con il Savoy Palace di Gardone Riviera e noi lo abbiamo restaurato».
Andiamo in falegnameria. La porta in legno bianco è lì, primi Novecento, con la fisionomia e l'odore del Vate ancora addosso.

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