Se il cane massacrato indigna più del dramma umano

Questo sabato la manifestazione di protesta in Valle. Di mercoledì la notizia del dramma sulla A4. Il punto sulle reazioni via web
AA
Dopo l’uccisione del cane in montagna, questo sabato è in programma una manifestazione di protesta, organizzata dal Partito protezione animali. Si svolgerà sotto forma di presidio itinerante tra le malghe di Bazena e Arcina al passo Crocedomini. La vicenda ha avuto una gigantesca eco sul web. E proprio dei sentimenti che trovano sfogo sulle piattaforme 2.0 parla «il punto» scritto da Gianluca Gallinari, pubblicato sull’edizione del Giornale di Brescia di questo venerdì. In relazione a un’altra vicenda che ha dell’assurdo, sebbene su scala diversa e per ragioni ben differenti. Quella del viaggio drammatico di tre ragazzi, salvati a Brescia dopo che - ormai in fin di vita - erano stati protagonisti di un viaggio aggrappati ad un camion.
 
La brutale uccisione di un cane da pastore indigna tutti. E la rete, megafono dello sconcerto, rinfocola la rabbia collettiva e la traduce in pagine Facebook e manifestazioni organizzate, in un profluvio di prese di posizione avvelenate e a dir poco radicali che difficilmente si registrano davanti a massacri di quelli che costano la vita a centinaia di bimbi in terre solo più lontane ai nostri sguardi di quanto non lo sia la Valcamonica. Sia chiaro: la ferocia di chi punisce la disobbedienza di un animale con la violenza più efferata non può trovare giustificazione, all’alba del ventunesimo secolo, nella consolidata rudezza degli usi pastorali.
 
Lo sferrare bastonate e colpi di pietra ad un cane isolato e indifeso dinnanzi agli occhi di un ragazzino non è comprensibile neppure in una bislacca logica di pedagogica esperienza dell’asprezza della vita. La condanna è e dev’essere rigorosa e unanime.
 
Ma la cronaca che talvolta è beffarda nella sua imprevedibilità, alle foto che inchiodano due malghesi alle proprie colpe, accosta un’altra storia. Quella di tre adolescenti che dall’Afghanistan piagato dalle guerre e dalle lotte tribali approdano moribondi a Brescia nel tentativo di raggiungere non l’Italia, ma un qualunque Paese che offra loro quel briciolo di serenità cui ogni ragazzino dovrebbe avere diritto per nascita.
E lo fanno, dopo indicibili traversie durate per uno di loro due anni in terre ostili, viaggiando aggrappati ad un camion e rischiando la vita ad ogni chilometro. Una scelta che è segno di una disperazione che da sola dovrebbe raggelare ogni dito puntato.
 
Eppure, in questo caso, la rete (o almeno un’ampia parte di essa) ruggisce sdegno: ma non già per l’ingiustizia cui sono costretti tre adolescenti per sfuggire alle pallottole e alle mine e cercare un futuro migliore, ma per il rischio che essi rappresentano per la collettività italiana. Vale a dire posti di lavoro sottratti ai nostri giovani e potenziali braccia offerte alla microcriminalità. La crisi imperante e le difficoltà che attanagliano anche la nostra terra non si discutono: le raccontiamo, purtroppo, tutti i giorni. Ma il dramma dei profughi, che pure con il loro arrivo costituiscono un problema per un Paese già provato, dovrebbe indurre tutti in primis a sollevarsi, al pari delle immagini del cane abbattuto a pietrate, per una ingiustizia inaccettabile.
 
La civilità non si misura con un’indignazione a compartimenti stagni. La si trova cercando dentro di sé tutta l’umanità - di cui un tempo Brescia si fregiava con orgoglio - guardando negli occhi di tre ragazzini impauriti tanto quanto, se non più, che in quelli di un cane abbandonato ad una crudeltà insensata. E se in Bazena ora le forze dell’ordine attendono migliaia di manifestanti (con servizi di ordine pubblico che imporranno costi indubbi per la collettività), sarebbe bello che almeno qualche volonteroso cittadino si affacciasse all’asilo notturno in cui i tre ragazzini sono approdati. Per donare loro anche solo il conforto del calore umano e un poco di speranza.
 
Gianluca Gallinari

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia