Nell’oreficeria Ribola preziosi e una storia misteriosa

Nata nel 1935 in via San Faustino con Guido, si è evoluta con Remo e Anna e oggi, in via Porcellaga, è gestita da Oscar
AA

Quello dell’orologiaio è un mestiere tra i più antichi. Una professione dove scienza e arte si fondono nel fascino della tradizione e dell’evoluzione. Lo aveva capito Guido Ribola nel 1935, quando aprì in via San Faustino un piccolo laboratorio per riparare orologi. Un’attività artigiana che diede il via all’azienda che ancor oggi porta il suo nome dopo vari passaggi ai familiari che hanno saputo stare al passo coi tempi e introdurre anche la creatività orafa che ha fatto degli artigiani italiani gli indiscussi maestri al mondo.

Oggi è il nipote Oscar Rossini che, dalla sede di via Porcellaga 10, crea gioielli e tramanda la tradizione familiare con al suo fianco la mamma Anna Aldrighi, per molti anni anima e motore del negozio di via San Faustino, dove, all’attività di orologiaio del marito Remo, aggiunse il commercio di monili d’oro e pietre preziose.

«La nostra storia professionale - racconta Oscar - si è intrecciata con quella un po’ misteriosa dello zio Guido che negli anni di guerra veniva richiamato per svolgere missioni militari delle quali non parlava mai. A quell’epoca lo sostituiva un collega, prima che mio padre nel 1947, dopo le scuole, diventasse suo apprendista».

Nel 1958, alla morte del titolare, Remo e Anna, giovani sposi, diedero impulso alla loro oreficeria diventando un punto di riferimento per il quartiere. «Eravamo una vera comunità - spiega la signora Anna -. E in via San Faustino erano rappresentati davvero tutti i mestieri artigiani oggi ormai perduti».

Oscar ha studiato nelle «botteghe» orafe prestigiose della città e frequentato la scuola vicentina, specializzandosi in gemmologia e collaborando negli anni con la Scuola Bottega di Beppe Nava. Quando il padre decise di ritirarsi, Oscar approfittò della cessazione di un’altra gioielleria di via Porcellaga per occuparne la sede, mantenendo sempre il nome Ribola a perpetuare la memoria di ben tre generazioni di esperti.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia