Tra Pacs e Dico ci sono i diritti e il legislatore

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Con riferimento alla Petizione sulle unioni civili, il dibattito in corso ha dato luogo ad ampie condivisioni, ma anche a perplessità in settori del Pd bresciano. Dopo l’annosa vicenda di Pacs e Dico emerge nel Pd nazionale un positivo percorso di carattere europeo. In particolare con riferimento all’esperienza tedesca di «civil partnership», proposta dalla sen. Cirinnà e condivisa, a nome della segreteria Pd, dal renziano Faraone. Nel frattempo si ripropone il problema del riconoscimento di alcuni diritti per l’accesso alla rete dei servizi pubblici locali. La via imboccata con il riconoscimento delle coppie di fatto attraverso un apposito Registro od il riconoscimento anagrafico rappresenta a mio parere una positiva soluzione. La Petizione presentata in Loggia ritengo infatti sia condivisibile nella richiesta del riconoscimento dei diritti sociali, senza alcuna discriminazione, che merita d’essere apprezzata, integralmente od almeno per le parti più qualificanti. Tenuto conto che è possibile anche una votazione per parti separate, come avviene nel caso d’una «Mozione», alla quale tale Petizione è assimilabile, in quanto impegna il Comune a modificare alcune disposizioni vigenti. Non mi nascondo che in assenza d’una normativa nazionale vi siano alcune difficoltà. Va però rilevato che in molti casi il legislatore nazionale è «maturato» proprio a seguito di sollecitazioni, promosse anche dagli Enti locali. E Brescia potrebbe esprimere un segnale, che non sia d’una attesa o d’un rinvio del problema. Una delle vie possibili è quella individuata a livello regionale - ai tempi di Formigoni! - nel 2004, con il Regolamento per l’edilizia pubblica. All’art. 2 infatti si dà una definizione di «nucleo familiare», ai cui componenti si collega poi un conseguente riconoscimento dei diritti abitativi. Tale «nucleo familiare» comprende: la famiglia costituita da coniugi e figli, da una persona sola, o da una convivenza di fatto more uxorio. Vengono inoltre «considerate componenti del nucleo familiare anche persone conviventi non legate da vincoli di parentela o affinità... La convivenza deve avere carattere stabile, risultare anagraficamente esistente almeno da due anni... finalizzata alla reciproca assistenza morale e materiale». L’adozione d’una simile impostazione, con una Delibera di indirizzo ed una successiva individuazione dei servizi e delle strutture interessate, penso renderebbe possibile compiere un passo in avanti nel riconoscimento di concreti diritti civili. Tutto ciò sul terreno amministrativo, tipico d’un Ente locale, senza esporsi o contrapporsi sul terreno dei diversi e legittimi principi. Per quanto infine riguarda Brescia ricordo l’aspra polemica con la Giunta Paroli (in realtà con una parte) che voleva istituire nel 2011 un «nuovo assessorato alla famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna». Per quanto condivisibile il valore, anche costituzionale, del matrimonio, era evidente l’intento strumentale. Infatti, applicato alla lettera, tale indirizzo avrebbe assurdamente escluso parti rilevanti della città. Basti ricordare che, mentre nel ’90 era il 54%, ora solo il 37% dei 93mila nuclei familiari corrisponde a tale modello. Risparmiamoci pure l’ipocrisia del «mala tempora currunt», consapevoli che spesso l’ente pubblico è costretto proprio ad intervenire in situazioni di crisi, di solitudini o di assenza della rete familiare. Consapevoli che i diritti evocati dalla Petizione sono non una mera pretesa individualistica, bensì un’assunzione più ampia di corresponsabilità e di solidarietà tra le persone. Per quanto legittime le diverse scelte valoriali, è evidente come un Ente Pubblico debba misurarsi con la realtà del bisogno così com’è, riconoscendo i diritti sociali corrispondenti alla libertà di ciascuno di poter definire la sfera delle proprie affettività, nonché le diverse forme di convivenza e di solidarietà familiare. Claudio Bragaglio Brescia

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