Sono le imprese a creare la vera ricchezza

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Ringrazio il signor Farri per la sua lettera del 4 luglio e per l’attenzione al mio articolo del 27 giugno. Le sue obiezioni sono di grande attualità, visti anche i commenti di questi giorni del commissario europeo Katainen. La crescita (del Pil e dell’occupazione) non usciranno da una combinazione di allentamento dei vincoli di bilancio e di maggiori investimenti pubblici. In un sistema di mercato, piaccia o no, la ricchezza e l’occupazione sono create dalle imprese. Sono, dunque, gli investimenti privati, l’offerta, a sospingere l’economia. Gli investimenti pubblici, sono un complemento. Utili per creare le infrastrutture che migliorano la competitività di una regione, un’area, un distretto industriale e così via. Le infrastrutture pubbliche si costruiscono a questi fini, non per uscire dalla recessione. È illusorio pensarlo. Se, in tempi di crisi, si costruisce un’autostrada, non vi è da attendersi un impatto diretto sulla crescita, ma un contributo a rendere l’area più competitiva. La Brebemi è un esempio. La domanda in Italia è compressa per via dell’enorme carico fiscale, dovuto a una spesa pubblica in continua ascesa, nonostante la spending review. I dati di Unimpresa sono molto preoccupanti. È questa la vera austerità. La crescita in Italia non tornerà e l’austerità continuerà sinché la spesa pubblica e la pressione fiscale non saranno ridotte di almeno 5 punti rispetto al Pil. Ma non basta. La competitività delle nostre imprese dipende anche dall’extra-costo dell’energia, circa il 30% in più rispetto alla media dell’Ue, e da tanti altri fattori legati al mercato del lavoro e al peso della burocrazia, al funzionamento della giustizia. Le riforme strutturali dovranno agire su questi fattori perché si possa tornare a crescere. Se continueremo a gingillarci con la chimera di una crescita che esce dal cilindro di un maggior debito, o se vogliamo di una politica fiscale espansiva, nonché da quello degli investimenti pubblici, avremo delle cocenti delusioni. Tanto più perché abbiamo qualche problema con gli appalti pubblici. Gli esempi abbondano. L’euro è un’opportunità da sfruttare. Non è in sé un fattore di crescita. Né è mai stato presentato in questo modo. Sin dall’avvio dell’unione monetaria era evidente che la moneta unica richiedeva politiche per la competitività strutturale. Ossia per migliorare in modo reale e sostenibile la nostra competitività, dimenticando lo strumento ingannevole della svalutazione. La Germania ha migliorato la sua competitività strutturale. Altri Paesi, come l’Italia o la Grecia, hanno approfittato dei bassi tassi d’interesse solo per aumentare il debito pubblico, non la competitività. L’euro è un po’ come la Ferrari. Se la si sa guidare si vince, altrimenti si va a sbattere. La Germania dall’euro ne ha saputo trarre beneficio, noi molto meno. La colpa è del manico, la soluzione è imparare a guidare la Ferrari, non tornare al volante di quella sorta di Trabant che era la lira. Angelo Santagostino

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