Riforme senza visione strategica

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Lo spirito di rottura di Renzi nella gestione del governo e del partito, accompagnato da un’indubbia sagacia tattica, ha consentito l’avvio del processo riformatore. Quel che difetta è una visione strategica di lungo periodo. Questa stagione di riforme è troppo schiacciata sulla contingenza e rischia di rimanerne segnata. Non si può ridurre un riordino costituzionale così complesso all’obiettivo di tagliare l’erba sotto i piedi al populismo e all’antipolitica (meno politici, meno indennità ecc…). Non si può alimentare la vulgata su 20 anni di palude, omologando destra e sinistra in una notte dove tutti i gatti sono grigi. Erronea, poi, si è rivelata la scelta di costringere il necessario dialogo con tutti in una logica pattizia con una sola forza di opposizione, a cui, giocoforza, si deve riconoscere qualche diritto di veto. I limiti delle proposte di merito sono in gran parte a ciò riconducibili. D’altra parte è difficile partorire grandi elaborazioni se l’interlocutore principale si chiama Denis Verdini. Mi limito a due aspetti. Senato e Legge elettorale. Tutti d’accordo sul superamento del bicameralismo paritario. Per uscirne due sono le strade maestre: un Senato delle Autonomie o un Senato delle Garanzie. Si è scelto di dare vita ad un ibrido. Un Senato delle Autonomie (sulla falsariga del Bundesrat tedesco) ammette l’elezione indiretta e implica uno stato a forte impronta regionalista con un ruolo significativo della legislazione concorrente. Nella versione italiana c’è solo la nomina indiretta, versus una ricentralizzazione statalista e l’abolizione della legislazione concorrente. Un Senato delle Garanzie, anche senza rapporto fiduciario con il Governo, richiede un insieme di competenza legislativa su diritti, materie sensibili e controlli che non possono non avere primaria legittimazione nella sovranità popolare. L’idea che senza più la fiducia al governo, il Senato possa non essere eletto dai cittadini è veramente balzana. I Parlamenti sono eletti dal popolo non perché esprimono la Fiducia, ma perché incarnano il potere legislativo. L’elezione indiretta ha una logica se un organo costituzionale è consustanziale ad un altro, a sua volta eletto direttamente. Il Senato delle Regioni, appunto. In tutti gli altri casi deve rimanere l’elezione diretta. Legge elettorale. Il punto più delicato è che l’Italicum introduce surrettiziamente l’elezione diretta del premier, il Sindaco d’Italia. Deve essere chiaro che, in questo contesto, il contrappeso più forte è la disgiunzione tra elezione del premier e elezione del Parlamento. Altrimenti si resta in bilico tra sistema presidenziale o semi e sistema parlamentare e vanno introdotti pesi e contrappesi fortissimi, per non cadere nel primato dell’esecutivo sul legislativo. Ne consegue che 1) ad un Senato di nominati non può corrispondere una Camera di nominati per il 60/70/%. La soluzione ottimale sono i piccoli collegi uninominali; 2) al primo turno si presentano le liste di partito e se nessuno raggiunge il 50% + 1 si va al ballottaggio con apparentamenti possibili tra 1° e 2° turno; 3) va previsto il diritto, per le minoranze, di adire la Corte sulla costituzionalità della legge; 4) va ulteriormente rafforzata, fin dal sistema di elezione, la terzietà del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale. Certamente tra la prima versione delle riforme (veramente pasticciata e modesta) e quella odierna sono state introdotte rilevanti modifiche grazie al dibattito interno (sia benedetto) al Pd. Se si continua ad usare il metodo Mattarella (prima unità del Pd, poi dialogo con tutti) si può concludere bene un percorso iniziato con il piede sbagliato. Paolo Pagani Pd Brescia

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