Quegli scozzesi non sono solo dei capricciosi

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Ho letto con interesse, sul GdB di mercoledì 10 settembre, l’articolo sul referendum scozzese a firma di Claudio Gandolfo. L’ho trovato, nel suo complesso, ben documentato: date e dati rendono chiaramente l’idea, a pochi giorni dal voto del 18 settembre, dell’aria che tira Oltremanica in queste settimane. All’analisi, insomma, non manca nulla. Nulla, tranne l’equanimità (che da un articolo di giornale non si può certo pretendere, ma da un’analisi di questo genere, abbiate pazienza, forse sì). Mi spiego. Mi pare che il commento abbia dato risalto ai pro come ai contro dell’indipendenza, com’è giusto che sia. Ma da quel che leggo, noto un ammiccamento nemmeno troppo velato alle ragioni del «No». Intendiamoci: è perfettamente legittimo auspicare che il Regno rimanga così com’è, cioè Unito (tantopiù che la Regina rimarrebbe Capo di Stato della Scozia indipendente...). Lo è meno, tuttavia, addurre a sostegno di tale augurio la serie di ragioni di cui è zeppo l’articolo di Gandolfo. Secondo il quale, senza la Scozia l’Inghilterra perderebbe qualcosa del suo rango di potenza. Questo perché dovrebbe ritirare i suoi sottomarini addormentati nelle acque scozzesi, così come i suoi missili posizionati nel profondo nord. Oltretutto, si legge, la monarchia stessa uscirebbe lesa nella sua maestà dalla prova referendaria, e ciò avrebbe esiti negativi (catastrofici?) anche per l’Unione Europea di cui la Gran Bretagna fa parte. Una mezza Apocalisse, insomma, e per cosa? Perché i capricci di quegli strani scozzesi vengano soddisfatti, anche se si dubita che riescano a mettere in piedi una difesa nazionale e una rete di ambasciatori in giro per il mondo. Scrivo «capricci» perché tali devono apparire, all’autore del pezzo, le ragioni che spingono uno scozzese su due (secondo i sondaggi) a sganciarsi da Londra una volta per tutte. Sembra che la volontà del popolo scozzese passi in secondo piano, al cospetto invece degl’immensi, irrisolvibili problemi geopolitici coi quali la si vuole affondare, e scoraggiare. In verità, la faccenda è molto semplice: a nord del Vallo di Adriano ci son persone che, forse in maggioranza, vorrebbero far parte di uno Stato indipendente e sovrano, e non più di un Regno di cui la loro terra non è che un generoso dipartimento (generoso in termini sia politici, che fiscali...): e che pertanto son riuscite, grazie all’iniziativa dei loro rappresentanti democraticamente eletti, a concordare un referendum per l’indipendenza, pretesa che laggiù ha profonde radici storico-culturali. Fine. Tutto chiaro: tutto naturale e pacifico. Il resto vien dopo. Gandolfo teme invece che l’Inghilterra possa rimanere ferita da tutto ciò. Non si preoccupi: che Londra abbia concesso la consultazione, ben al corrente di quanto avvelenata sia la «polpetta», dimostra la forza di Westminster e della Corona britannica. Perché, evidentemente, gli antistorici Re della perfida Albione hanno molta più confidenza con la democracy rispetto ai democraticissimi Presidenti e capi di Stato dell’Europa continentale. Perché, come commenta l’aristocratico austriaco Chojnicki ne La Cripta dei Cappuccini di Joseph Roth, «non c’è nobiltà senza generosità». Chiudo qui sperando, con questa mia, di non essere sembrato ingeneroso: non era nel mio intento. Paolo Amighetti Verolanuova

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