«Ora parlo io. Ora dobbiamo parlare noi»

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di Giulia Bonardi - 22 anni, Remedello Ora parlo io. Mi faccio portavoce dei «giovani italiani», ma nello stesso tempo, mi rivolgo a loro. Utilizzo le virgolette per un semplice motivo: tutti parlano di noi, ovunque. Veniamo citati in titoli di giornale, programmi televisivi e conversazioni da bar. Siamo i destinatari prescelti delle promesse dei politici che, spesso, ci riducono a slogan accalappia voti. Qualcuno sostiene che i nostri cervelli siano in fuga, riconoscendoci quantomeno dotati dei medesimi, altri, invece, ci descrivono come bamboccioni nullafacenti. E noi? Noi facciamo silenzio, li lasciamo fare, come se stessero parlando di altro. Siete «giovani»? Se la risposta è si stanno parlando proprio di voi, anzi, di noi, anche se non ci chiamano in causa con nome, cognome e codice fiscale. Ebbene, ora parlo io. Quando la crisi iniziò noi eravamo fanciulli, chi sognava di diventare un calciatore e chi una ballerina. Siamo cresciuti e con noi i nostri sogni, i miei sogni. Il risultato? Sebbene non abbia studiato danza e stia frequentando la facoltà di Lettere e Filosofia, forse, oggi come oggi, ho le stesse probabilità di diventare prima ballerina all’Opera di Parigi rispetto a quelle che ho di trovare un lavoro attinente al mio percorso di formazione. In risposta a questa situazione noi pubblichiamo un post su Facebook, che riceverà un numero di «mi piace» direttamente proporzionale alla sua incapacità di cambiare i fatti. Un tempo i giovani erano dei sognatori, oggi dei nichilisti. La colpa, di certo, non è solo nostra, qualcuno ci sta consegnando nelle mani un mondo nel quale non c’è tempo per sognare, ma è bene rendersi conto che bisogna reagire. Innanzitutto dobbiamo indignarci, stiamo perdendo la capacità di farlo, di riconoscere ciò che lede il nostro futuro. Quasi siamo indifferenti. Vincono i gabbiani e non i pesci. Dobbiamo essere predatori, predatori di opportunità per dimostrare quanto valiamo, di insegnamenti , di consapevolezza dei nostri diritti e doveri, di risposte alle nostre domande e, perché no, di speranza. Dobbiamo dimostrare di meritarci l' opportunità di essere ciò che siamo: il presente ed il futuro di questo Paese. Meritiamo che qualcuno si renda conto che di «apprendisti con esperienza» non ce ne sono, che abbiamo il diritto di avere uno stipendio consono al lavoro svolto ed alle ore sostenute, il fatto che siamo giovani ed in gamba e che la competizione sia molta non implica che tale regola, anzi, legge, per noi non valga. Meritiamo contratti che ci permettano di acquistare una macchina per andare al lavoro senza che, al termine degli stessi, ce la debbano finir di pagare i nostri genitori ed anche di progettare una famiglia e dei figli. Ma la verità è che non basta dire che ci meritiamo tutto ciò, noi dobbiamo conquistarcelo, prendercelo, ripetendoci che è possibile e dicendo: «Ora parliamo noi», perché è il nostro turno e ne abbiamo il diritto ed anche il dovere.

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