Matrimoni gay fra rispetto e distinzioni

AA
Domenica mattina ho letto che la Presidente della Camera incoraggiava il Sindaco di Roma a ignorare le leggi della Repubblica e a trascrivere in un registro dello stato civile matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati in altre nazioni. Bell’esempio! In una democrazia, chi presiede un’assemblea è tra i supremi custodi delle regole. In un Comune, il primo cittadino è anche il primo garante della legge. In questi giorni, al posto di censurare tali comportamenti, una parte dell’opinione pubblica bacchetta, invece, il ministro degli Interni che ha ricordato il dettato normativo e la necessità di osservarlo. Insomma, ce la prendiamo con chi fa il suo dovere dando un pessimo esempio a tutta la comunità. Brava la Presidente della Camera! Sarà proprio credibile quando lancerà altri appelli, magari contro la corruzione o l’evasione fiscale. Queste regole si devono rispettare? Ma il problema non è Laura Boldrini. La questione riguarda il matrimonio, invocato a gran voce dai sostenitori dei diritti delle coppie omosessuali. Matrimonio, le parole sono importanti: c’è infatti chi chiede totale equiparazione alla situazione di una coppia eterosessuale coniugata, per mutare il modello di famiglia riconosciuto dalla Costituzione. Io sono contrario e avverto il bisogno di scriverlo, a costo di dispiacere così qualcuno ma soprattutto con la volontà di sfidare il ricatto - intellettualmente disonesto - di chi è pronto a tacciare di intolleranza ogni voce fuori dal coro. Serve invece lettura critica e confronto. O siamo in un regime? Negare il matrimonio ai gay non significa perseguitare, reprimere o discriminare. Altro è infatti il riconoscimento e il rispetto di queste unioni e di queste persone. Non si tratta neppure di una questione confessionale, con buona pace del Sindaco di Roma - feroce e leggero guascone - che, mentre si festeggiava il nostro Paolo VI, ha voluto offrire uno sberleffo anche al Sinodo della Famiglia. Si lamentino i cattolici, se vorranno; chiedano rispetto, avranno ragione. Il legislatore deve qui distinguere e non equiparare. Con il matrimonio di un uomo e di una donna si arricchisce lo Stato e la società di una libertà carica di doveri, un compito sociale e non una preferenza privata, come vorrebbe la teoria dei gender. Penso alle fatiche - andrebbero sostenute e premiate - di chi cresce dei figli e, tra questi, di chi porta il dovere ancor più grande e più bistrattato di crescere figli malati o disabili. Si tratta di una libertà da proteggere così, da non confondere e annacquare. È costitutiva della comunità perché mette in conto il dare, accetta un legame stabile e certo, accoglie la possibilità che da questo legame nascano vite nuove. Distinguerla rispetto ad altri modelli di vita e di convivenza è, a mio avviso, responsabile e saggio da parte di chi ha il mandato di rappresentare un popolo intero e di pensare al futuro della società. Giorgio Grazioli

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia