«Mani pulite» e il dibattito sulla prescrizione

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In questi giorni è in uscita, così si usa dire, una produzione televisiva sulla vicenda di «mani pulite». Alquanto scadente a mio modo di vedere. Ma non è quanto voglio dire appropriandomi di competenze critiche in materia cinematografica. Quello che mi pare significativo è il concomitante dibattito per l’approvazione di una legge in materia di corruzione che allunga i termini della prescrizione, cioè consente di mantenere in vita il reato per un più lungo periodo evitando che alla fine possa essere cancellato dal trascorrere del tempo. Ora, «mani pulite» ha innescato un meccanismo micidiale nel quale la giustizia, quella maiuscola, ha perso ogni possibile applicazione. Non è voler cancellare la storia o ancor peggio modificarne il racconto, è fotografarne i risultati dando la giusta esposizione affinché l’immagine non sia un abbaglio. Dalla vicenda di «mani pulite» il perseguire reati legati alla corruzione nella pubblica amministrazione è stata più un’impresa cinematografica che giuridica. La preventiva gogna mediatica, ancor prima di un corretto accertamento dei fatti ha portato alla distruzione di vita a tanti che infine non ne avevano responsabilità e contemporaneamente ha consentito a quelli che avrebbero meritato la condanna di sopravvivere con il loro bottino. E questi ultimi, per beffa, e soprattutto i più esosi nel raccogliere il bottino... hanno anche dimostrato la maggior abilità nel sopravvivere godendosene i frutti. E riacquistando positiva menzione. Allora cosa c’entra il prolungare la possibilità di mantenere in vita un reato allungando i tempi della prescrizione. Vuol dire che un onesto amministratore, un politico corretto, e ce ne sono, nel momento in cui si trova accusato, magari per non aver favorito nessuno e denunciato da chi ritenendosi non favorito lo accusa di aver favorito altri, vede la sua vita interrotta per vent’anni senza poter chiedere che l’attesa nell’accertamento della colpa o della innocenza sia giuridicamente e umanamente accettabile. Ai più, quelli che nel giusto ci sono solo loro, questo non interessa perché è un problema che a loro non può capitare... nella loro testa e nella loro inutile presenza. Ma ad una persona per bene che volesse portare il suo contributo alla crescita del Paese quale motivo mai potrebbe essere incentivante il suo impegno se il rischio fosse quello di trovarsi la vita distrutta senza colpa per una accusa ingiusta? Non sono ipotesi, e la possibile situazione nella quale chiunque potrebbe trovarsi visto il perverso circuito in base al quale viene fatta una denuncia, si inizia un’indagine, si finisce sui giornali etichettato come colpevole prima di ogni accertamento ulteriore, si rimane in attesa vent’anni perché tanto la fretta di condannare non esiste più. Avrei dovuto dire la fretta di accertare la verità, ma così quella che conta non è la verità ma la semplice accusa. Un esempio pratico: Filippo Penati, assolto per prescrizione in un processo che aveva come accusatore la stessa persona che nel successivo processo ancora in corso ha alla fine ritrattato motivatamente tutte le accuse. Penati, che è del Pd, ha avuto la vita politica rovinata... ed era in quel momento collaboratore di Bersani, il segretario del Pd, che si ritrovò addosso qualche effetto collaterale, rovinoso sarebbe meglio dire. Un esempio il mio di una vicenda che riguarda politici non nelle mie simpatie, ma che testimonia come sarebbe più utile applicarsi a che i tempi della giustizia fossero rapidi e veloci, senza divulgazione di strumentali notizie, senza distruggere vite, senza istigare all’odio nei confronti di chi semplicemente ha offerto parte del suo tempo alla comunità. Certo ricevendo anche soddisfazioni, ma non per questo da condannarsi se onestamente si è comportato. Invece ci si applica ad un meccanismo perverso per i corretti, perché tanto i corrotti hanno già sistemato per bene il maltolto e quindi non se ne fanno drammi di trascinarsi in aule di giustizia per qualche anno in più. Eugenio Baresi

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