Lo spettacolo della natura alle Cinque Terre

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Da più di 30 anni torno alle Cinque Terre, Liguria, Riviera di Levante, in una piccola casa a Corniglia che, delle Cinque, è quella centrale. Guardando il mare, a destra dietro un monte, ci sono Vernazza e Monterosso. A sinistra c’è Manarola che si vede sopra una punta e, più in là, Riomaggiore. Dopo, ma non fa parte delle Cinque Terre, c’è Portovenere, una perla e, ancora più in là, La Spezia, capoluogo di provincia. Di fronte, proprio sull’orizzonte, quando il cielo è molto limpido e il mare non si vede più perché la sua linea si è fatta curva, si vedono le isole di Capraia e di Gorgona mentre, verso Ovest, c’è la costa ligure di Ponente e il confine francese. Arroccato a 100 metri sul livello del mare, mezzo paese chiesa compresa, un secolo fa franò. Nessuno ne parla e chi arriva da fuori non sa che la terrazza di Santa Maria è ciò che resta del sagrato di quella chiesa sparita nelle onde. In fondo, oggi si vedono solo le rocce del fondale. Durante la guerra in paese c’erano più di 3.000 abitanti. Poi, negli anni a seguire, sono diventati 1.800, poi 300. Oggi, d’inverno, ci sono 80 residenti e d’estate ci saranno 300 persone, contando i turisti ospiti nelle case private: le stanze in affitto sono oggetto di un fiorente mercato. Non c’è un albergo. In compenso ci sono alcune trattorie tradizionali, molto buone, bar e caffè pure tradizionali, ma dove ormai si mangia anche alla carta e altri locali di recente apertura. Negozi vecchi e nuovi completano l’offerta per i turisti e per i tradizionali proprietari di casa, che sono andati ad abitare in città e che tornano d’estate. Corniglia, il cui nome potrebbe far pensare, di primo acchito, ad un corno data la sua posizione protesa verso il mare su uno sperone roccioso, di fatto trae origine dal nome Cornelius, nobile romano che abitava in questa zona, a conferma dell’antichità dell’insediamento abitativo. Una volta il fianco della montagna che sembra spingere il paese verso il mare era tutto coltivato a terrazze. C’erano soprattutto vigne, ma anche oliveti, orti, agrumeti. Gli abitanti praticavano l’agricoltura e, marginalmente, la pesca per dare da mangiare alla famiglia. L’allevamento era di poche pecore e di animali da cortile, polli, conigli, qualche maiale. Oltre il crinale del monte, che fino a 50 anni fa si raggiungeva solo con una mulattiera, barattavano il vino con i cereali. Il sale lo ottenevano facendo bollire l’acqua del mare. C’era addirittura chi andava a vendere questo sale sulla strada alta, posta a diversi chilometri. Una manciata di sale ogni due secchi d’acqua portati in casa dalla riva del mare, con 350 gradini da salire. La popolazione per molti anni è stata povera e oggi, per fortuna, non lo è più. Nel Dopoguerra, gradatamente, è arrivato il lavoro all’arsenale di La Spezia, in ferrovia, nei servizi, mentre prima l’unica opportunità lavorativa era andar per mare, o coltivare la terra. Il bosco dava le castagne, la legna e poco più. Adesso il bosco è completamente abbandonato, pullula di cinghiali che danneggiano le coltivazioni e molte terrazze, soprattutto le più ripide, sono state abbandonate. Così le frane rendono spesso impraticabili sentieri. C’è un Ente Parco che sovrintende al territorio, e meno male che c’è, anche se qualcuno si lamenta. Da poco è arrivato un nuovo Presidente, che ha le caratteristiche per far bene, quello di prima è sotto processo. Alle Cinque Terre ci sono tanti turisti, soprattutto stranieri, di tutte le nazionalità. L’immagine di questa località gira per il mondo e il turismo scarica qui un potenziale crescente di vacanzieri. Succede di provare qualche fastidio perché un sentiero è chiuso (magari da anni), o perché non sempre tutto funziona come dovrebbe (ritardo dei treni o costo dei servizi - il pulmino che porta dalla stazione in paese costa due euro, per 5 minuti di strada).Resta certo che quando il turista riparte porta via la dimensione di un posto incantato, perché al mondo ci sono pochi luoghi tanto belli, tanto particolari, da apprezzare standoci, attenti a lasciarsi prendere da una natura a volte generosa e a volte prepotente, tanto che, per il suo fascino, è possibile perdersi dentro. Agostino Mantovani Brescia

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