Le procedure borboniche della giustizia

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All’interno del «Palagiustizia» campeggia la statua che rappresenta l’allegoria della giustizia e meglio non potrebbe fare, dal momento che è separata dal pubblico da una teca di vetro accessibile solo agli addetti. Tale è l'impressione che il cittadino, ignaro di macchina della giustizia, riceve presentandosi a richiedere copia del casellario giudiziario. Sembra impossibile: in un’epoca in cui si paga il biglietto del bus con l’sms, bisogna ancora presentarsi muniti di marche da bollo e fotocopie dei documenti e moduli compilati ed altre marche ancora. Come spiegano le grida affisse col nastro adesivo, tanto più manzoniane, quanto corredate di intestazione del tribunale e logo di Stato e timbro e firma. Oppure gli impiegati che si prodigano in un ufficio che viola, se non le regole del buon ambiente di lavoro, quantomeno quelle del buon senso: è infatti uno scantinato privo di finestre e di luce naturale. Perché la vetrata (che da su un’aiuola tutt’altro che ben tenuta) dà luce ai pilastri del corridoio. E del resto la difesa del buon ordine è affidata alla prodiga maleducazione delle guardie giurate (ma non c’erano due Carabinieri? Così, almeno per ricordare Collodi, suvvia!) Soprattutto: perché il casellario giudiziario non è pubblico e consultabile on-line. Preserviamo la privacy facendo pagare il bollo a chi non lo vuole visibile, non a chi è costretto per lavoro a procurarsene copia (cartacea ovviamente). Meo Cominardi Botticino

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