La lunga strada per Brescia capitale della cultura europea

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Nei giorni precedenti il Ferragosto ho seguito con interesse il dibattito che Il Giornale di Brescia ha riportato sull’idea di candidare la Leonessa d’Italia a capitale della cultura europea per il prossimo 2019. Essendomi occupato, quale alto funzionario internazionale, di simili progetti all’Unione Europea, al Consiglio d’Europa e all’Unesco e all’Osce l’idea mi è parsa brillante. Senza dubbio, Brescia lo merita. Per esperienza, poi, so bene che simili ambiziosi progetti hanno il segreto potere di far riemergere e valorizzare energie e risorse, che si pensavano smarrite. Di creare innovative sinergie ed entusiasmi. Di gettare nella mischia del futuro valori e progettualità antichi e innovativi. Di questo anche Brescia ha bisogno per dare inizio a una nuova era di sviluppo sociale, culturale ed economico. Le idee, tuttavia, sono dei bei pensieri senza gambe. Per farle scendere dall’Iperuranio non basta averle. Le idee camminano sulle gambe degli uomini, quelli giusti. Si realizzano nella concretezza di progetti innovativi. Chiedono del caso una realistica visione internazionale. Lecce, che assai meno della nostra città merita l’ambito riconoscimento, già da tre anni non solo si è candidata ma concretamente sta lavorando al progetto di essere per 365 giorni nel 2019 una delle due capitali della cultura europea. I leccesi hanno chiamato uno dei migliori tecnici della questione, Iron Berg, il turco-tedesco che fu l’eminenza grigia di Essen e Istanbul, capitali europee nel 2010. Senza scomodare il fantasioso progetto Lecce-Utopia di Berg, forse, per Brescia basterebbe fare almeno quattro riflessioni. Tanto per cominciare. Nella realtà economica bresciana, si voglia o no, il tempo e la cultura delle fabbrichette sono finiti o, se resistono, sono agli sgoccioli. Brescia e i bresciani devono cercare altre risorse. Cultura e turismo sono, oggi e in ogni senso, più redditizie di un giacimento di petrolio. Basta solo trovare dei buoni scavatori di pozzi. Una piccolissima parte di Brescia è riconosciuta nella lista del Patrimonio dell’Umanità per le vestigia dei luoghi del potere longobardo. Per quanto insigni, non bastano più; anzi - come dissi, a tempo debito, a chi di dovere - è un vero peccato essersi fermati lì. «A Brescia», infatti, «è presente la più potente stratificazione storica del Nord Italia» (Philippe Daverio). In Brescia, c’è ben altro e di più che, a buon diritto, meriterebbe l’iscrizione nel Patrimonio dell’Umanità! Non basta ancora. È necessario alzare lo sguardo non solo dentro, ma sopra e intorno alla Leonessa d’Italia. Guardare oltre. Pensare il futuro. Essere creativi e realistici. O, come si usa dire oggi, fare rete. Oltre la lista artistico-patrimoniale, la Convenzione di Parigi del 1975, ne prevedeva una seconda: la lista dei siti naturali e paesaggistici. Da qualche anno, ne esiste una terza: quella dei beni immateriali. A un tiro di schioppo dal centro città c’è Montisola, l’isola lacustre più grande d’Europa. Sulla via per essa ci sono le Torbiere d’Iseo. Andando verso queste, si deve attraversare la Franciacorta col suo paesaggio e i suoi vini. Girandosi dall’altra parte della città ma ancora nel suo centro storico, lungo il versante settentrionale del Colle Cidneo, si estende il vigneto urbano più grande d’Europa, caratterizzato dalla coltivazione dell’Invernenga, vitigno autoctono a bacca bianca presente a Brescia fin dall’epoca romana. Senza dimenticare, il Castello di Brescia, una delle fortificazioni più grandi d’Europa. E che dire se giriamo lo sguardo verso la Valcamonica, le cui incisioni rupestri furono il primo sito italiano dell’Unesco; la ferrovia retica nel paesaggio dell’Albula e del Bernina, già iscritte nel 2008. Utile sforzo sarebbe rileggere con sapienza Brescia dall’età antica a quella contemporanea, nell’intero suo dispiegarsi nel tempo e nello spazio, nelle donne e negli uomini che l’hanno fatta e la fanno; così da immaginare - non sognare! - una nuova stagione di sviluppo quale capitale della cultura del Vecchio Continente. Con o senza titolo, ma certamente a buon diritto! Da felice neocittadino bresciano, infine, e se serve per le statistiche ho trascorso il giorno dell’Assunta nella bella Brescia. In Duomo, i miei vicini di banco erano dei numerosi, pii e benestanti californiani. L’antistante piazza Paolo VI e la vicina della Vittoria, così come le vie del centro pullulavano degli idiomi degni di Babele. Ho distintamente riconosciuto fra gli altri: il fiammingo, lo spagnolo, il tedesco, il francese, gli accenti tipici delle lingue finnico-scandinave e le variegate inflessioni dell’anglo-sassone. Un vero peccato che all’assenza di qualsiasi moderno strumento culturale-turistico, degno di questo nome, si sia associata quella della mancanza di ogni utile ausilio: da piazza Paolo VI a quella della Repubblica, fino alla Stazione impossibile fare una sosta, bere un caffè o acquistare un souvenir. E, i miei vicini californiani, per soggiornare a Brescia, di certo, non si accontenterebbero di un albergo a tre stelle. Gian Pietro Caliari Docente universitario

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