L’orgoglio dell’identità della Bassa

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Chiedo un po’ di spazio per alcune riflessioni riferite al «pianeta Bassa bresciana» che ritengo utili e, forse, persino curiose. Partirò con una serie di brevi domande. La «Bassa» esiste? Ha confini geografici propri? Se sì, da quando? Scrivo sul suo Giornale dal lontano 1979 (il primo articolo usciva in data 11 novembre) e ricordo che, al tempo, non c’era la pagina dedicata alla Bassa bresciana, ma alcune pagine dedicate alla «Provincia». Rammento anche quella sera; presso il ristorante scelto per l’annuale riunione dei corrispondenti, lo «scalpore» che provocò la proposta di dedicare alla «Bassa bresciana» una pagina specifica. Personalmente ritengo (e l’ho dichiarato pubblicamente in più occasioni) che molto contribuì ad «inventare» sia i confini, sia l’identità della Pianura, la penna di Tonino Zana. Idea pionieristica la sua, principiata nel 1974, allorquando era corrispondente del «Giornale di Brescia» (1974-1984). La sua collaborazione s’interromperà nel 1984 e sino all’87, per poi tornare definitivamente al «nostro Giornale» in qualità di giornalista professionista. Ricordo anche alcuni «titoli» in quegli anni pubblicati: «La Bassa che non c’è»; «Si fa presto a dire Bassa»; «La Bassa bresciana si ridesta dal suo torpore culturale...». Ecco il punto! Sino agli anni Sessanta questa plaga è dedita al lavoro sui campi. Poi viene svenduta all’industria, senza ritegno alcuno, tradendone la millenaria vocazione agricola. A tal proposito (era un ragazzo) rammento quei cartelli posti nelle periferie di Manerbio, Leno, Bagnolo Mella, Orzinuovi... dove c’era scritto (con mio grande scandalo) «Zona depressa». Depressa perché? Da che cosa? E la fatica consumata da infinita schiera di braccianti, contadini, terrazzani, bergamini... non ha avuto nessuna valenza, nessuna dignità? Dopo solo poli industriali, cavalcavia, strade... Un po’ più tardi: rotonde, centri commerciali, supermercati, periferie dormitori, e la perversa volontà di voler trasformare i paesi in «città». Risultato: paesaggio stravolto, agricoltura in declino, acque inquinate, aria inquinata, coscienze inquinate, e la convinzione, inculcata da più parti, che era gioco forza sacrificare la bellezza della campagna (dell’Italia), per permettere all’economia di girare (infatti si vede come sta girando!). Poi, in questi ultimi anni, dopo aver sperimentato che quel «metodo» non portava che illusioni e inseguiva solo chimere, ecco farsi strada una coscienza nuova, un rinsavimento, e la presenza di movimenti forti al punto di riuscire a registrare qualche significativa «vittoria»: la centrale di Offlaga, il polo di Azzano, il mega macello di Manerbio... Ma attenzione a non mollare. Bisogna stare all’erta, bisogna resistere contro gli assalti della storia. Bisogna sì vivere nell’era che ci compete, ma senza dare corso a contrasti stridenti. Bisogna lavorare con umiltà e tenacia, qualità proprie di chi sa trovare nella natura le necessarie risorse per la vita quotidiana, senza saccheggi, senza recare al Creato violenza. Attenzione anche ai nuovi proclami, e ai falsi profeti, affinché la «Cultura» (che anche nella Bassa pare tornata di moda) non diventi folklore per la curiosità dei turisti, ma bensì sia consapevole recupero di una vera identità, e un orgoglio d’appartenenza genuino. Gian Mario Andrico Motella di Borgo San Giacomo

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