L’intitolazione dei giardini di via Ambaraga

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Raramente, i politici, che campano con le nostre tasse, ci considerano cittadini. Argomento ed espongo. Giorni fa ho scoperto che io (assieme ad un altro paio di centinaia d’italiani), per uno di costoro, sono un suddito. La settimana scorsa, per l’ennesima volta, mi recai presso l’Ufficio dell’assessore Muchetti per informarmi sull’iter dell’intitolazione «Giardinetti Unità d’Italia», degli spazi verdi di Via Ambaraga, a Brescia: ciò a coronamento di un progetto educativo e didattico che aveva visto la partecipazione di più classi delle scuole di Brescia e di altre regioni d’Italia. Aggiunsi anche che con richiesta protocollata nel 2011 (...), i precitati alunni e non, coll’adesione dell’allora sindaco Adriano Paroli, avevano inoltrato formale domanda agli Uffici dell’Assessorato alla Toponomastica di Brescia. Istituzionalmente, l’assessore Valter Muchetti appuntò la mia richiesta e disse che l’avrebbe passata al collega Manzoni della Toponomastica. Sentenziava Andreotti che a pensar male si fa peccato ma, spesso, s’indovina. Confesso d’aver pensato male, ma non indovinai: per verificare il novello stato dell’arte, dopo qualche giorno andai nell’ufficio toponomastica e colà, con i cortesi impiegati che ritenevano l’intitolazione degli spazi e la posa della targa già avvenute, rivedemmo le annose carte per risolvere il busillis. Uno, in particolare, ricordò che il fascicolo era stato passato, all’epoca, alla segreteria dell’assessore in carica; anzi, mi disse di seguirlo al piano di sopra per chiedere spiegazioni alla funzionaria(?). La signora o signorina che ci accolse (e qui capii d’aver pensato male a vuoto) mostrò d’aver contezza del recente impegno dell’assessore Muchetti ed aggiunse che al ritorno dalle ferie, l’assessore Manzoni prevedeva, (cito a memoria) compatibilmente con le priorità, di procedere con l’intitolazione. Alla mia domanda di che fine avesse fatto la nostra (duecento e più di cui sopra) richiesta protocollata nel 2011, rispose che l’incartamento era stato preso dall’assessore dell’epoca, e che lei non ne aveva saputo più niente. Ora, mi domando e dico, in linea coll’incipit, come mai l’assessore dell’epoca, del quale ho fin’ora omesso il cognome e che nello spirito e per solidarietà a Charlie Hebdo indicherò come «innominato», non sentì l’obbligo di dare un minimo riscontro alla richiesta di duecento e passa italiani? Non riteneva degna la stessa, e perchè? Lesse, l’innominato, le motivazioni? Sapeva, l’innominato, che molti degli alunni partecipanti all’articolato progetto, nato per i 150 anni dell’Unità d’Italia, non sono italofoni e provengono da tutte le parti del mondo? L’innominato, sapeva che un buon progetto d’integrazione prevede la conoscenza obiettiva, non ideologica, delle vicende che portarono ai confini politici attuali dello Patria Italiana ospitante? L’innominato sa che la maturazione della cittadinanza attiva e consapevole passa anche attraverso il dialogo con le istituzioni e la sperimentazione dei meccanismi, sedimentati nella nostra bimillenaria civiltà, che lo regolano? L’innominato pensa d’esser stato valido referente istituzionale e d’aver favorito il processo d’integrazione e di assimilazone (se non si scandalizzano le anime belle) di Ruodan, Mhanel, Dumitru, Ahmed, Grjgory, Suleyma, Fathmir, Leonardo, Sara, Faustino, Anita, Calogero, Ciro, Shariu, Arteiu, Ghenz, Bortolo, Janjna, Vincenzo, Laura, Luca che ogni tanto incontro e mi chiedono, ammiccando come sanno fare i ragazzi, del coronamento del «nostro» progetto? A questo punto, gentile direttore, vista l’eco che ha voluto concedere al mio sfogo, Le confesso che le porte chiuse della burocrazia e delle istituzioni mi fanno un baffo a tortiglioni, in quanto, ogni tanto, per allenarmi ai no (non Le sembri presuntuoso l’accostamento), come Diogene, vado a chiedere l’elemosina alla statua della Lodoiga sotto il portico della Loggia di Brescia; nel contempo spero di aver trovato nella persona degli assessori Valter Muchetti e Federico Manzoni, nel solco di Diogene, «l’Uomo». Io (e gli altri duecento e passa), speriamo che me la cavo, se no, nella prossima pasquinata, al posto di Andreotti, sarò costretto a citare Montanelli, che se non ricordo male, sintetizzando il sentire comune, diceva: «Di certi politici non si riesce mai a pensare abbastanza male». Giorgio Natale Presidente di «Storia Memoria Identità» Brescia

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