L’equilibrio fra ricchezze e povertà

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Accade troppo spesso. Un giornalista conosciuto del settimanale RCS scrive un lungo articolo descrivendo una problematica nota, che tocca la parte più viva e critica del pensare contemporaneo, ne descrive precisamente i contorni, sembra che da esperto voglia lanciare proposte risolutive, poi... chiude. Descrizione inutile, sforzo giornalistico senza sbocco, assenza di coraggio o eccessivo equilibrismo? Il tema: le disuguaglianze sociali sono positive e indispensabili per lo sviluppo oppure vanno ridotte, cercando di meglio distribuire la ricchezza? In altre parole è socialmente e politicamente più opportuno lasciar aumentare la ricchezza dei ricchi oppure ricercare un equilibrio più equo? A me pare evidente che si tratta di un problema di così grandi proporzioni che non può essere visto solo dal punto di vista economico, oltretutto restando equidistante. Una ripartizione equilibrata delle risorse non può che essere moralmente più giusta e socialmente necessaria e vantaggiosa per instaurare un clima di armonia e coesione sociale (elemento prioritario nella scala dei valori). Ciò non vuol dire frenare lo spirito imprenditoriale e creativo dei privati, se son capaci di creare sviluppo e innovazione. A costoro, se hanno raggiunto un elevato livello di ricchezza, vanno eventualmente chiesti atti significativi di «generosità obbligatoria» alla Bill Gates.Ma l’eccessiva fortuna offende gli dei! Vedo intollerabile la convivenza dell’opulenza con certi livelli drammatici di miseria. Se poi la straricchezza riguarda i cosiddetti servitori dello Stato (la classe politica e/o la burocrazia pubblica) il fenomeno assume un livello di gravità e di intollerabilità elevatissimo. Perché questo giornalista, come molti altri, non osa proporre delle soluzioni coraggiose al problema, perché descrive, illustra, spiega, ma non si sbilancia? È giunto il momento di attuare un giornalismo attivo, combattente, non un giornalismo chiacchierante, descrittivo, equidistante. Sandro Belli

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