Il dramma d’una amica palestinese

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A diciotto anni qualunque opinione politica si abbia, qualunque idea di natura sociale, viene considerata da chi quest’età l’ha passata da un pezzo un’ingenuità dovuta all’inesperienza, pensieri confusi quasi quanto i gusti sessuali, un senso del giudizio pari a quello che alle scuole medie si ha in campo musicale. Se poi un’opinione la si deve dare sulla guerra - materia comunque troppo ampia per poter avere un solo pensiero a riguardo - la cosa si amplifica raggiungendo le rive non troppo lontane dei luoghi comuni, perché se credi in un attacco armato sei un fascista, se sei filo-americani fai parte degli Illuminati, e se ti affascina la filosofia di Gandhi, anche a un livello puramente ideologico, allora «non è così semplice». Io di anni ne ho esattamente diciotto e la mia opinione politica non ve la do, non vi dico neanche cosa penso delle guerre in Medio Oriente o della Nato, che tanto non interesserebbe a nessuno, ma per farla più semplice vi racconto una storia. Non di quelle inventate, né di quelle realistiche che Hollywood ha reso fantascienza, una storia vera, tutto ciò so su un argomento duro anche solo a parlarne. Per intenderci l’argomento è il conflitto Israelo-Palestinese, e ciò che so è di una ragazza di Gaza che è stata come me una studentessa di scambio a Cleveland, Ohio, durante quest’ultimo anno scolastico. So delle immagini che posta su facebook, so delle bombe fuori dalla sua finestra, delle notti buie e dei blackout. So della paura, che è tanto forte da passare attraverso lo schermo freddo di un computer. So che con lei ho condiviso per un anno la stessa vita, il freddo dell’Ohio, scuole nuove per entrambe, orientations noiose, il lago Erie. Che siamo tornate a casa lo stesso mese lasciando case lontane l’una dall’altra qualche chilometro, e ora non condividiamo neanche più lo stesso cielo. Perché se qui il sole è nascosto dalle nuvole, lei non lo vede per colpa di aerei da guerra e bombardamenti. E come ho già detto voglio lasciare da parte ogni componente politica, ogni opinione personale su Israele e Palestina - quando si parla di guerra d’altronde non c’è mai parte giusta e parte sbagliata, c’è lo schifo che resta radicato alla terra, come nuove fondamenta di un Paese distrutto, nient’altro - e metto in campo la componente umana. Questa ragazza si chiama Baraa, ha diciassette anni, e una foto davanti allo skyline di New York City scattata da me. Ora questa foto è l’immagine di copertina del suo profilo facebook, appena sopra l’immagine personale, scattata di fronte al Parlamento americano. Scorrendo giù per il profilo invece le foto non sono degli Stati Uniti, ma di Gaza e dei fumi neri. Non ci sono foto con gli amici come nel diario facebook di un qualunque adolescente italiano, come nel mio diario facebook se non vogliamo generalizzare, nessuna spiaggia o video in discoteca. Perché mentre io mi godo l’estate, vado al mare, esco la sera, lei vive una guerra. E forse questa storia fa un po’ schifo, manca di una trama robusta e di una corposa sequenza di eventi, ma dubito ci sia altro da aggiungere, una consapevolezza del genere dovrebbe già far paura, o sensibilizzare, almeno un po’. Che un po’ più di umanità fermerebbe guerre e salverebbe il mondo, e io che ho ancora diciotto anni posso crederci. Camilla Pitton Cerveteri

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