Il discrimine fra un pessimo e un bravo prof

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Reduce da una breve ma intensa maturità mi pongo a riflettere sul compito e sul fine di colui che in questi otto anni di scuola secondaria mi ha accompagnato in un percorso di formazione del carattere, della cultura, del metodo di studio: il professore. Sono convinto che ci siano diversi tipi di insegnanti, chi è più bravo e chi non lo è, chi un giorno lo era ma ora non ha più la verve di una volta. Ma esistono anche tanti ingegneri, e uno è più bravo e l’altro no. Quindi perché preoccuparsi? Tuttavia tra l’uno e l’altro c’è una piccola, ma sostanziale differenza: il primo ha la responsabilità di dare un esempio, di formare molti giovani, di porre le basi del loro futuro, di trasmettere, di trasformare la scintilla che c’è in loro in un fuoco ardente, il secondo invece pensa a un progetto e alla sua realizzazione. Se l’ingegnere non è bravo e lo so, non lo assumo per il progetto di casa mia, ma se mio figlio capitasse con un professore che non può essere detto tale, non potrei fare nulla. Qui sorge il problema della scuola pubblica. Possibile che i genitori azzannino le segretarie pur di mandare il figlio nella sezione «giusta»? Evidentemente in quella schiera di validi professori qualcuno non lo è. Qualcuno magari regala volutamente i voti per non avere grane con i genitori, perché in realtà non è capace di insegnare, di trasmettere. Così la sua classe viaggia a gonfie vele, nessuna insufficienza, tutti promossi per quattro anni, ma alla maturità, gli studenti pagano il fio di un professore che non ha avuto il tempo, la volontà di ascoltare i suoi discepoli, di accertarsi se avessero realmente capito, assimilato e appreso quel bagaglio che un giorno avrebbero chiamato cultura. Ma che invece non hanno. Hanno solo una serie di nozioni appese qua e là nella loro mente, e ormai quella scintilla si è spenta, è stata schiacciata dalla negligenza dell’insegnante. C’è anche chi non spiega, e interroga su cose mai dette, mai assegnate, e pretende tanto, fin troppo. Non dà, ma vuole indietro ciò che non ha dato. È considerato severo e di conseguenza un professore capace e in gamba, le sue insufficienze sono il suo orgoglio, e più ne ha, più lui è bravo e i suoi allievi svogliati e lavativi. È considerato come professori che invece si impegnano per lasciare un’impronta, per trasmettere la loro conoscenza ai loro giovani studenti, per raggiungere il loro scopo: alimentare la scintilla dei ragazzi, farla nascere in quelli che non ce l'hanno, verificare che abbiano compreso, assimilato nella profondità del loro sapere i suoi insegnamenti. Ma alla fine nel cuore dello studente rimane la nostalgia e il desiderio di ritornare sui banchi per poter riascoltare, anche per poco, la voce e gli insegnamenti di quel professore che ha lasciato tanto, ha dato se stesso, ha spiegato e richiesto con il giusto equilibrio, è stato corretto e coerente, è stato un esempio da imitare, ha fatto passare pomeriggi e notti sui libri, ha fatto faticare per una giusta causa, ha fatto appassionare gli allievi alla sua materia, ha fatto odiare e amare lo studio, ha distrutto personalità e le ha ricostruite, ha formato grandi caratteri perché sapeva cosa scriveva Orazio in uno dei suoi carmi «Fortes creantur fortibus et bonis», le persone forti sono create da persone forti e buone. Con la sua immagine nel cuore, dimenticando invece le delusioni degli altri, mi incammino, preparato e fiero dei suoi ammaestramenti non solo di Filosofia e Storia ma anche di vita, verso l’avventura universitaria. Nicola Musicco Brescia

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