Benedetto XV, la Grande guerra e la pace

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Nel 2014 ricorre l’anniversario dell’inizio della Prima guerra mondiale, uno degli eventi più sanguinosi nell’intera storia dell’umanità. Deflagrato nel 1914, subito dopo l’attentato di Sarajevo contro l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero austro-ungarico, il conflitto coinvolse quasi tutte le nazioni europee, fino ad allargarsi al di fuori del continente europeo, in un crescendo di sofferenze ed orrori. Nonostante gli accorati moniti di Papa Benedetto XV, che si attivò dal giorno della sua elezione al soglio pontificio (il 6 settembre 1914) per scongiurare l’evento bellico, questo si diffuse come una metastasi nei Paesi europei, per la cecità e l’egoismo dei governanti, che si macchiarono della responsabilità di mandare letteralmente al macello milioni di ragazzi. Lo scacchiere bellico vide da un lato Austria-Ungheria e Prussia (i cosiddetti Imperi centrali), con gli alleati Turchia e Bulgaria (belligeranti solo a conflitto iniziato); dall’altro Francia, Gran Bretagna (ai cui vertici occupavano ruoli decisivi le logge massoniche anticlericali), Russia, Belgio, Serbia, Romania, Grecia e, dal 1917, gli Stati Uniti d’America. Esplodeva così una guerra devastante, assolutamente diversa da quelle del passato. «Il mostro bellico che si scatena tra il ’14 e il ’18 - ha scritto Antonio Socci - - non ha più nulla in comune con le guerre napoleoniche, né con le guerre di fine Ottocento. È la furia geometrica della meccanizzazione, della guerra tecnologica che esplode. Sconvolge tutte le vecchie tecniche militari, le strategie, i riti, la cultura bellica; produce nell’uomo stesso nuove angosce e devastazioni spirituali sconosciute, nevrosi inedite e incontrollabili». La spaventosa carneficina della «Grande Guerra», conseguenza diretta dei nazionalismi beluini esplosi a partire dalla Rivoluzione francese, costituisce con questa l’architrave di una «modernità» lontanissima dai modelli cristiani, ponendo inoltre le premesse di altre incommensurabili stragi, quasi tutte con epicentro nel continente europeo. Anche l’Italia, sotto la pressione della massoneria franco-inglese interessata a distruggere l’ultimo baluardo cattolico, vale a dire l’Austria-Ungheria di Francesco Giuseppe (si veda a riguardo l’eccellente «Requiem per un impero defunto» di Francois Fejtò), era entrata proditoriamente in guerra nel maggio del 1915, proprio contro gli ex alleati della Triplice Alleanza (Impero asburgico, appunto, e Prussia). Rivendicando i territori «irredenti» di Trento e Trieste (in realtà già offerti dall’Austria in cambio della neutralità italiana), ma in pratica accomunato alla massoneria francese e inglese nella volontà di distruggere l’Austria cattolica, anche il nostro Paese soffrì lutti indicibili, basti pensare ai 600.000 soldati morti in combattimento e al milione e mezzo di feriti, mutilati e invalidi causati dal conflitto. Il vero antagonista della guerra fu Benedetto XV, vale a dire il genovese Giacomo Della Chiesa. Nato nel 1854, era divenuto Arcivescovo di Bologna nel 1908 ed era stato eletto Pontefice a soli tre mesi dalla nomina a Cardinale. Fin dal primo giorno della sua elezione, come si diceva, egli si adoperò in ogni modo nel denunciare, con passione accorata e profetica lungimiranza, l’assurdità e la sciagura della guerra in corso, per la cui cessazione non avrebbe risparmiato alcuna azione: già nell’esortazione «Ubi primum», dell’8 settembre 1914, indirizzata a tutti i cattolici del mondo, levava un alto grido in favore della pace: «Allorché da questa Vetta Apostolica abbiamo rivolto lo sguardo a tutto il gregge del Signore affidato alle Nostre cure, immediatamente l’immane spettacolo di questa guerra Ci ha riempito l’animo di orrore e di amarezza, constatando che tanta parte dell’Europa, devastata dal ferro e dal fuoco, rosseggia del sangue dei cristiani (...) Preghiamo e scongiuriamo vivamente coloro che reggono le sorti dei popoli a deporre tutti i loro dissidi nell’interesse della società umana». Il primo novembre il Pontefice faceva conoscere la su deplorazione per «lo spettacolo che presenta l’Europa e con essa tutto il mondo, spettacolo il più tetro forse e il più luttuoso nella storia dei tempi (...) Nessun limite alle rovine, nessuno alle stragi: ogni giorno la terra ridonda di nuovo sangue e si ricopre di morti e feriti». E ancora: «E chi direbbe che tali genti, l’un contro l’altra armate, discendano da uno stesso progenitore, che siano tutte della istessa natura, e parti tutte d’una medesima società umana? Chi li ravviserebbe fratelli, figli di un unico Padre, che è nei cieli?». Purtroppo le sue ripetute esortazioni rimasero inascoltate, per la sordità, la grettezza, i cinici calcoli dei governanti. Man mano che il conflitto andava straziando il continente europeo, Benedetto XV non mancò di intervenire con alcuni dei belligeranti per migliorar la sorte dei prigionieri, feriti o malati, per far liberare i detenuti civili, per favorire le opere pie; aiutò in particolare le persone e le regioni più colpite, inviando e stimolando soccorsi ai bambini affamati, ai feriti e ai prigionieri. Un esempio su tutti: stante il disumano diniego del governo italiano e degli alti comandi di sostenere i propri prigionieri nei campi austriaci e tedeschi, solo la Pontificia Opera di Assistenza riuscì a far pervenire qualche genere di conforto ai nostri soldati. Innumerevoli furono le missioni diplomatiche, ispirate dal Pontefice, inviate presso i governi europei. In dette ambasciate Benedetto XV esortava i Paesi belligeranti a trovare un nuovo ordine internazionale, proponendo un graduale disarmo e offrendo l’alta autorità pacificatrice della Chiesa a garanzia di un arbitrato. I suoi appelli non trovarono però mai risposte incoraggianti e in Francia ebbe a scatenarsi una campagna di odio verso quello che (senza alcun fondamento) veniva considerato un Papa filotedesco. Il frammassone capo del governo francese, George Clemenceau, ebbe addirittura a definirlo «Pape boche» (Papa tedesco). Benedetto XV non fermò per questo la sua voce e i suoi moniti, divenuti sempre più accorati mano a mano che la guerra si intensificava. Definì via via il conflitto «spettacolo mostruoso», «spaventoso flagello», «orrenda carneficina», «suicidio dell’Europa civile», «tragedia dell’umana demenza», «inutil strage». A ragion veduta, perché dopo più di quattro anni di stragi (otto milioni e mezzo le vittime complessive, più di venti milioni i feriti e i mutilati, lutti e miseria senza fine), la guerra terminò senza aver risolto nessuno dei problemi preesistenti, che anzi risultavano accentuati, ulteriormente compromettendo l’avvenire europeo, di lì a breve nuovamente sconvolto dai totalitarismi e da un nuovo, più micidiale, conflitto. Stremato dalle fatiche e malato, Benedetto XV cesserà di vivere il 22 gennaio 1922; un mese prima, in una piazza di Costantinopoli, era stata eretta una statua a lui dedicata, ai cui piedi è scritto: «Al grande Pontefice dell’ora tragica mondiale Benedetto XV. Benefattore dei popoli senza distinzione di nazionalità e di religione in segno di riconoscenza l’Oriente 1914-1919». Vincenzo Merlo Rodengo Saiano

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