Agonismo: una palestra di vita

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«Signori, vostro figlio è molto portato per questo sport: vorremmo inserirlo nella squadra agonistica. Siete d’accordo?».

Chissà cosa prova un genitore quando si sente dire questa frase dall’allenatore. Inizialmente l’orgoglio ha la meglio: un talento viene riconosciuto nella tua creatura, ancora così piccola eppure già pronta per lanciarsi nel mondo della competizione. Ma oltre a questo un altro sentimento altrettanto forte: la paura. Paura che il piccolo non ce la faccia, che non riesca, che si demoralizzi.
Per fortuna quando ai miei genitori è stata fatta la domanda non hanno avuto esitazioni: sapevano che dopotutto era quello che io volevo. Avevo 7 anni e praticavo ginnastica ritmica, e grazie a quel «sì», pronunciato senza riserve, i successivi 13 anni sono stati la maggior soddisfazione della mia vita.

Perché certo, se si sceglie di intraprendere la strada dell’agonismo le rinunce, la fatica, i sacrifici sono davvero tanti, ma la ricompensa è sempre adeguata. E non sto parlando solo di risultati sportivi. Certo, se quelli arrivano la soddisfazione è ancora maggiore, ma anche chi «non vince mai» può fare della sua esperienza sportiva un tesoro che sicuramente darà frutto quando sarà adulto. Fare sport vuol dire imparare a gareggiare: contro gli altri, certo, ma soprattutto contro se stessi. Avere un segno tangibile dei progressi effettuati allenamento dopo allenamento, riuscire ad esibirsi davanti ad un pubblico e magari anche una giuria, e talvolta combattere l’ansia, la paura, la tensione, ed imparare a convivere con esse.
Ma non è finita. L’attività agonistica insegna anche a perdere: perché le sconfitte saranno tante, anche nella vita, e quello che bisogna fare è rimboccarsi le maniche e lavorare ancora di più. Per non parlare dell’organizzazione: avere poco tempo a disposizione per fare i compiti permette di sfruttare al massimo le ore, riuscendo a mantenere la concentrazione per il tempo necessario, senza distrarsi.

Chi non ha mai praticato uno sport forse non può capire il motivo di tanti sacrifici: troppe volte mi sono sentita dire: «Tu sei matta ad allenarti tutto quel tempo». Ma quando c’è la passione, ogni ora passata a praticare lo sport è un piacere.
Certo, esistono anche le giornate no, quelle in cui non ci si alzerebbe dal letto: ma uno sportivo sa che c’è la gara, la partita, e che ogni momento è importante per ottenere un buon risultato. Così già da piccoli si impara cosa sono tenacia e costanza, due parole che purtroppo stanno scomparendo nel vocabolario dei giovani.
Spesso, quando ero ginnasta, vedevo genitori ritrarsi spaventati di fronte alla proposta di fare entrare i loro figli nella squadra agonistica: «Mio figlio non ce la farà mai, c’è la scuola prima di tutto, ci sono i compiti da fare…». Onestamente dalla mia esperienza ho potuto verificare che, se il bambino vuole praticare quello sport, troverà il tempo per far tutto. Magari all’inizio farà fatica e bisognerà incoraggiarlo, ma penso che non ci sia migliore incentivo dello sport per migliorare anche negli altri campi.

Infine si impara a trarre il meglio anche dalle situazioni negative, come ho potuto provare sulla mia pelle. Nel 2006 un infortunio proprio a pochi giorni dalle prime gare compromise tutta la mia stagione di competizioni. Lo sconforto fu grande: avevo lavorato tantissimo per quello momento, e un minuto di stanchezza aveva rovinato tutto.
Ecco allora che in me nacque un’idea: quella di creare un sito per tutte le persone appassionate di questo sport (www.beatricevivaldi.it). Perché nello sport non ci si può mai arrendere, ma bisogna dare il meglio in ogni situazione.
La mia carriera agonistica si è conclusa nel 2012, ma la passione non si è spenta: ho aperto una società, per trasmettere ad altre bambine la bellezza del mio sport, e spero che molte di loro possano provare l’esperienza dell’agonismo, una vera e propria palestra di vita.
Infine vorrei fare un appello: genitori, i vostri figli non sono e non devono diventare per forza campioni. Devono divertirsi impegnandosi al massimo, e quello che vogliono da voi non è che li facciate arrivare primi, ma che dopo una prova diciate loro: «siamo fieri di te».
Beatrice Vivaldi, 21 anni, Villa Carcina

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