Cultura

Zoro, un uomo per tutti gli schermi

A Brescia per il suo primo film, Arance e martello, Diego Bianchi, in arte Zoro, racconta l'Italia partendo da un mercato rionale.
Arance e martello: se la rivoluzione si fa al mercato
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Zoro o Diego Bianchi, quello dei video dalla Dandini o il conduttore di «Gazebo», il regista cinematografico o l’opinionista sul Venerdì di Repubblica. C’è differenza? È sempre lui, un uomo per tutti gli schermi e per tutti i mezzi. Web, tv, cinema, libri, periodici, video, scrittura: tutto.

«Sì, ma non dire così che sembra brutto. Non è che lo faccio per smania di esserci, di farmi vedere. Scrivo, o faccio video, o faccio televisione solo se alla base ho qualcosa da raccontare».

Diego Bianchi è stato ospite lunedì sera al Nuovo Eden, in via per presentare il suo primo film da regista, «Arance e martello», presentato allo scorso Festival di Venezia nella Settimana della critica (è in programmazione in città fino a giovedì 18 settembre). Ha parlato a lungo con gli spettatori nella sala tutta esaurita, come sta facendo da giorni in un tour che lo porta attraverso l’Italia. «È un bell’esercizio di democrazia diretta, il pubblico commenta il film, mi dice se gli è piaciuto o no, mi fa domande. Sta andando bene, è faticoso ma gratificante».

Il film racconta delle proteste di un gruppo di ambulanti di un mercato romano costretto alla chiusura, mentre il Pd raccoglie le firme per cacciare Berlusconi dal Governo e non riesce ad affrontare il problema. È un lavoro in cui si respira una dimensione corale, ma il linguaggio è il tuo.
Ho fatto tutto io, soggetto, sceneggiatura, regia, montaggio, attore. Ma al tempo stesso mi piace lavorare in squadra, farmi aiutare. Sul set de «Il sole dentro» ho imparato come lavora una troupe, quali sono i ruoli. Qui, oltre al rapporto con il direttore della fotografia, è stato molto importante il lavoro con gli attori, alcuni esordienti e alla prima esperienza. Si è creato un gruppo molto forte, forse è per questo che le battute più divertenti sono uscite dall’improvvisazione.

Dal web al cinema il salto è notevole.
Sono mezzi diversi, con dei requisiti da rispettare. Ma li considero mezzi. La parte importante è il contenuto. Ho cercato di mantenere la stessa cifra, lo stesso punto di vista, sempre per raccontare la realtà.

Ti senti romanocentrico?
È normale raccontare le cose che si conoscono e Roma è una città che ha un’identità talmente forte che arriva in modo più netto di altre. Cerco sempre di uscire da Roma per lavoro, penso ai servizi a Lampedusa, L’Aquila, Mirafiori, Val di Susa, ma per questa storia mi sono ispirato alla mia realtà di tutti i giorni. Eppure, credo che sia facilmente identificabile con altri luoghi, i problemi sono comuni.

E cosa c’entra Spike Lee con San Giovanni?
È un regista che mi ha segnato, «Fa’ la cosa giusta» mi ha devastato parecchio. Mi piacciono i suoi film, mi piace il suo stile. Mi sono ispirato a lui e al modo, ad esempio, in cui ha raccontato Brooklyn.

Di solito lavori sulla stretta attualità, il film è ambientato nel 2011. Sembra un secolo fa.
L’ho scritto con Berlusconi e Alemanno, con la sinistra in crisi e con lo spread. Poi è caduto il Governo, mi sono chiesto se fosse il caso di inserire Monti nella sceneggiatura. Ma quanto poteva durare? E infatti poi è arrivato Letta, e poi Renzi... Comunque, i problemi di cui si parla nel film, la mancanza di lavoro, l’eco del terrorismo, la distanza della politica, le distorsioni dei media nel raccontare la realtà, sono tutti attuali. E poi Berlusconi c’è ancora, è una sorta di padre della patria che fa le riforme costituzionali.

Sta per ricominciare «Gazebo», dal 28 settembre su Raitre, ti concentri sulla tv o hai altri film in mente?
Sarebbe fico dire che sto già lavorando al prossimo, ma non c’è nulla. «Arance e martello» ha la sua vita cinematografica da vivere. E l’impegno con «Gazebo» non mi lascerà molto tempo libero.

La telecamerina l’hai spenta o accesa?
Riprendo spesso, ma non sempre. Non sono così pazzo. Oggi, ad esempio, non l’ho ancora usata.

C’è tempo, sono solo le tre del pomeriggio. Per finire, ti saluto come Zoro o Diego Bianchi?
Non c’è distinzione, Zoro è nato come nickname ed è diventato famoso. Ma non è un personaggio, sono sempre io.

Emanuele Galesi
e.galesi@giornaledibrescia.it

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