Cultura

Suoni ed emozioni dei domatori di fuoco

Nel nuovo stabilimento di via Padana Superiore, si è alzato il sipario sulla «Fabbrica Brescia», che celebra i 50 anni del Gruppo Giovani di Aib.
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Un benvenuto da parte dei padroni di casa di Aso Forge, per la famiglia Artioli il portavoce è stato Francesco Uberto, anche presidente del Gruppo Giovani Imprenditori; il saluto dell’assessore comunale alla Cultura Andrea Arcai e del sindaco di Castegnato Giuseppe Orizio. Poi, davanti a 380 spettatori, sotto una pioggia battente, nel nuovo stabilimento di via Padana Superiore si è alzato il sipario sulla nuova rassegna «Fabbrica Brescia», che celebra i 50 anni del Gruppo Giovani di Aib.

Una sirena, il carro ponte che avanza portando alla ribalta lo schermo su cui sarà proiettato il video, i forni che scalpitano. Arriva il fuoco. Michel Moglia accende alcune fiaccole, poi una fila di fiammelle, un’altra. Tenta le canne del gigantesco organo con la fiamma, quelle iniziano a stridere suoni animali. Javier Girotto si dà da fare al sax, sapiente, Enrico Ranzanici racconta con le immagini la potenza e la poesia della forgia.

I suoni crescono, siamo sul fondo del mare, ecco la colata, siamo nell’antro di Vulcano, nel cuore del segreto rubato da Prometeo. Si aggiunge il bofonchio del didgeridoo di Manu Kao, scavato dalle termiti: suono di una bestia che si sveglia, rantolo della terra che prende allo stomaco, e tutto che intanto sputa fiamme, il video e le canne d’organo. Fuoco e sax, poi ancora fuoco, suonano le canne grandi come una balena che si risveglia, e le piccole, rumori sordi dal fondo del mare, orche che si chiamano.

Ecco il domatore del fuoco, lui come quelli della forgia, abituati al calore, al pericolo, alla fatica. Lingue spaventose si levano dallo strumento infernale di Moglia, suscitano un terrore ancestrale, tenuto a bada dalla ragione. Lui con la tastiera comincia a sparare forte, spara fuoco e suoni dalle lunghe canne, saldatore di infinito, mentre il giuoco dei tre musicisti si fa serio, intenso. Moglia accende e spegne quando vuole, ci acceca o ci riscalda, a piacer suo, ci illumina e ci spegne. Siamo in suo potere.

Ma il meglio deve venire: uno dei tre forni di riscaldo si apre, a mostrare la sua luce arancio, incandescente, forte dei suoi 1.200 gradi che a percepirli così da vicino quasi intimidiscono. Il carro-ponte avanza maestoso, porta la pinza gigantesca che afferra il lingotto infuocato, fumante, e lo solleva, luminoso e quasi trasparente nel buio. Si apre il secondo forno, ne esce un carrello, la pinza posa il lingotto e il forno se lo inghiotte.

È un momento di tempo sospeso, ma l’organista è in agguato e ruba la scena per l’impressionante finale: lingue di fuoco lambiscono il tetto del capannone, imperiose ci tolgono il respiro, mentre questo concerto unico va verso la fine, non prima di averci stupito e riscaldato (letteralmente) nella fredda sera. Un trionfo, una meraviglia per l’equilibrio delle parti, per la fusione con l’ambiente intorno. Gli artisti non dimenticheranno la forgia, la forgia serberà il ricordo di loro. «Fabbrica Brescia» ha dimostrato tangibilmente di essere un progetto davvero innovativo, foriero di performances uniche e irripetibili, a raccontare ed esaltare il lavoro, a sacralizzarlo come l’arte sa fare, proiettandolo nel tempo che non passa, ma rimane intatto nella memoria e nel cuore.

Paola Carmignani

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