Cultura

Paul Polansky, un poeta in viaggio per il Carmine

Il 72enne poeta e attivista statunitense, Paul Polansky, sta scrivendo un libro sul Carmine raccogliendo le storie degli immigrati.
Paul Polansky, un poeta per il Carmine
AA

«L’ultima cosa che il pesce mai scoprirà è l’acqua». La frase è attribuita variabilmente alla tradizione cinese o a quella ebraica, gente che quando si tratta di saggezza la sa lunga.
Paul Polansky ha l’aria di essersela conquistata sul campo, la saggezza, unita ad un’indole profonda e combattiva. Cita la frase, senza tirare in ballo ebrei o cinesi, mentre cammina per le vie del Carmine e prova a spiegare perché si è innamorato del quartiere tanto da dedicargli un libro a cui sta lavorando in questi giorni.

Lui è un poeta. Lui ha 72 anni. Lui ha i capelli lunghi bianchi, un po’ di barba (bianca), la voce profonda e quell’aria da americano ormai europeo, o da europeo americano. Cammina con gli stivaloni, per dire, e quando azzarda qualche parola in italiano sconfina nello spagnolo. «Gracias», dice all’arrivo del caffè. È la sua seconda lingua, ormai, visto che nel ’63 ha scelto Madrid al posto del Vietnam, scappando dagli Usa per non essere arruolato.

«Nel 1976 c’è stata un’amnistia per i disertori e da allora posso tornare negli Stati Uniti», spiega. Non per viverci, quello no, ma per raccontare la vita dei senzatetto, degli «Homeless in America», dal titolo della raccolta di 21 liriche scritte dopo essersi mescolato ai più poveri nel paese più ricco del mondo. Li ha conosciuti, intervistati, seguiti, annusati. E ne ha fatto poesia: cruda, forte, straight to the heart, che arriva dritta al cuore. «La poesia è il mezzo più veloce per far viaggiare una storia. L’unica cosa più rapida è la fotografia. Con la poesia riesci comunque a raccontare le persone, le loro tragedie, le loro vicissitudini e a farle arrivare al lettore in pochi secondi».

Paul Polansky scopre Brescia perché invitato ad un reading, e ci torna di recente per presentare il libro «My life with the gypsies», capendo che il Carmine non è un posto come tutti gli altri. «Ho iniziato a conoscerlo, a conoscere i suoi segreti, le persone che lo vivono. Mi sono detto: questo è uno spaccato perfetto per raccontare l’immigrazione in Italia. E poi anch’io so cosa vuol dire dover ricominciare tutto in un nuovo Paese senza soldi e senza conoscere la lingua».

Come gli homeless, come gli zingari con cui ha vissuto nei campi nomadi italiani, Polansky usa la stessa tecnica nel dedalo carmelitano. Incontra, conosce, parla, intervista, scrive, lascia sedimentare, riscrive in poesia. In prima persona, dalla voce diretta di chi incontra. Tutti i giorni la stessa storia, anche se la storia non è mai la stessa. Dal mattino alla sera, lungo le vie, nei parchi, nei bar. Un cammino iniziato ai primi di settembre, destinato a durare fino alle fine del mese.

«Di solito mi sveglio alle quattro, riprendo le interviste del giorno prima e ne ricavo le mie poesie». Non lo fa da solo. Con lui c’è Valérie Dumas, 22enne, guida e interprete. A lei saranno affidate le illustrazioni del libro, oltre che le traduzioni. Chiaro: a dispetto del nome, Valérie Dumas è più bresciana che mai, con una famiglia alle spalle in cui si stratificano storie di immigrazione.
«È una guida perfetta ed è bravissima a entrare in contatto con le persone», dice Paul.

Il titolo provvisorio è «Voices of Carmine», le poesie saranno in inglese accompagnate dalla versione in italiano. Immigrati dal sud, immigrati dalla Cina, immigrati dal Pakistan, immigrati dal Bangladesh. E poi Ucraina, Romania, Marocco, Tunisia: «In una trentina di interviste abbiamo incontrato molti paesi diversi». Ci sono già duecento pagine di racconti, condensati in una novantina poesie. «E siamo solo a due terzi del lavoro! Le persone sono disponibili, c’è chi rifiuta di parlarci, ma in generale siamo bene accolti. Forse perché sono un poeta, magari con te che sei giornalista avrebbero paura».

Poi c’è la questione dell’acqua, e del pesce che non sa di esserne circondato. «Per chi vive qui può essere difficile vedere la ricchezza del Carmine. Presi dai problemi di tutti i giorni, dalla propria vita, si fa più fatica a cogliere la bellezza, l’ironia e la tragedia che aspettano di essere raccontate». Ma la poesia è concreta, a portata di mano, e nutre e disseta: proprio come l’acqua. 

Emanuele Galesi
e.galesi@giornaledibrescia,it

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia