Cultura

«Nel nostro barocco c'è tutto il novecento»

Giuseppe Bergomi, Tullio Cattaneo, Livio Scarpella a confronto con la tradizione nella cattedrale di Noto
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Facile dire Barocco. Meno facile confrontarsi con lo stile restando fedeli a se stessi e al proprio tempo. Ci hanno provato gli scultori bresciani Giuseppe Bergomi, Tullio Cattaneo e Livio Scarpella, che hanno realizzato sei statue per la cattedrale di Noto. Il progetto della locale Diocesi e Prefettura e curato da Vittorio Sgarbi come contributo al recupero dell'edificio settecentesco dopo il crollo della volta nel 1996, vedrà il compimento il prossimo aprile, quando nelle nicchie saranno collocati i santi Giovanni e Caterina di Bergomi, Giacomo e Matteo di Cattaneo, Bartolomeo e Andrea di Scarpella, assieme alle opere dei romani Vito Cipolla, Giuseppe Ducrot e Demetrio Spina, del calabrese Gaspare Da Brescia e del toscano Filippo Dobrilla.
Dai bozzetti, presentati due anni fa in una mostra collaterale alla Biennale di Venezia, e dai modelli finiti da cui saranno ricavate le opere, l'ispirazione del barocco emerge con forza, soprattutto nelle opere di Cattaneo e Scarpella, costruite su contrapposti, torsioni e ricchezza dei panneggi, mentre nella Santa Caterina (San Giovanni è ancora in lavorazione) Bergomi ha insistito sui tagli decisi nel blocco plastico del volume, che creano ombre profonde, e su dettagli espressivi come le mani e il libro che si aprono come un fiore.


Che compromessi comporta una commissione religiosa, con l'adeguamento a iconografia e stile precisi?
Lo stile - spiega Cattaneo - ci è stato richiesto per creare uniformità tra le opere, che saranno in gesso ceramico, e per coerenza con l'edificio. Per quel che mi riguarda non ho avuto problemi: io non credo allo stile, navigo tra gli stili, e penso che la scultura sia la storia della scultura a cui attingere con la propria sensibilità. Sono partito da una struttura astratta, il triangolo della conchiglia per San Giacomo, un doppio movimento ascendente/discendente per San Matteo, e ho declinato questi spunti in un linguaggio barocco, ma nella mia scultura c'è il novecento, ci sono Picasso, Braque, Kandinsky, non potrebbe essere altrimenti.
Io lavoro su retaggi iconografici - aggiunge Scarpella - dai quali non possiamo prescindere. Quanto al barocco, è stato un «esercizio di stile» che può divertire, se si ha l'abilità tecnica per affrontarlo.
Il mio barocco - precisa Bergomi, il cui linguaggio è più quattrocentesco e pulito - non è un calco, ma un lavoro mentale su ritmo, gesto, volume. Nel blocco plastico ho lavorato per tagli profondi che scavano ombre nel panneggio, ho pensato più a Fontana che a Bernini o a Serpotta, un artista straordinario che lavorò proprio in Sicilia: il '900 ce l'abbiamo addosso, non può non venire fuori.


Come vi siete posti davanti al tema sacro?
Mi ero già confrontato con l'iconografia sacra nei miei Baby-reliquiari - sottolinea Scarpella - in cui un simulacro umano contiene un cuore prezioso. La suggestione delle immagini sacre va oltre il credere o il non credere, riguarda ogni uomo.
Ho lavorato per la chiesa intesa come spazio sacro, non come istituzione - gli fa eco Cattaneo -: la sacralità dell'opera sta nella sincerità di chi la esegue, verso gli altri e verso se stesso. Sta nella capacità di coinvolgere, di esprimere un contenuto con il linguaggio che le è proprio.
Mi sono posto il problema della attualizzazione del tema sacro - aggiunge Bergomi - e perciò per i miei santi ho voluto fare dei ritratti, di mia figlia Ilaria e di mio genero. San Giovanni è un uomo giovane, moderno, non lo stereotipo efebico della tradizione. Santa Caterina, dottoressa della Chiesa, è una folle: basta leggere i suoi scritti, come la descrizione che fa del conforto dato ad un condannato a morte, tra mistica e carnalità. Sono santi ma sono uomini e donne, e il cristianesimo è la religione del Dio che si è fatto uomo: questo ho voluto rappresentare.


Il Vaticano ha annunciato di voler partecipare alla Biennale d'arte, e c'è un dibattito su quale sia l'arte più adatta ai contenuti religiosi, l'astratta o la figurativa.
L'arte è tutta trascendente - afferma Cattaneo - e l'unica sacralità sta nella qualità: una tecnica trascendente, e penso ad esempio a Leonardo da Vinci, si sposa sempre ad un grande significato, sono inscindibili.
L'arte sacra in quanto tale non esiste - aggiunge Bergomi -, diventa sacra quando è «alta». L'arte sacra ha raffigurato madri, spose e sorelle come sante e madonne, il sacro sta nella figura umana. L'astrazione? C'è chi trova trascendenza nelle opere di Rothko, ma c'è sempre il rischio di una forzatura.
La sacralità non c'entra col contenuto - conclude Scarpella - basta vedere quanta paccottiglia c'è nelle nostre chiese, dove spesso manca del tutto l'atmosfera, il senso del trascendente. Il problema sta nella qualità dell'opera, nella capacità di trasmettere questi valori: se osservo una cosa bella, mi fa stare bene, proprio attraverso la bellezza, la preziosità dei materiali, la lavorazione. Questo è lo scopo del mio lavoro.


Giovanna Capretti

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