Cultura

Giuradei: duecento date per un tour fantastico

Intervista ad Ettore Giuradei, uno dei cantautori bresciani più attivi, che ora ha addosso gli occhi della Warner
Giuradei, Sta per arrivare il tempo
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Ha iniziato a immaginarsi il suo fegato perduto nel deserto. «Lo vedevo solo, assetato, che chiedeva un goccio d’acqua. E invece gli veniva offerta una bottiglia di grappa». Anche l’eccesso fa parte dello show di Ettore Giuradei, il cantautore bresciano al centro del progetto «Giuradei», tale e quale al cognome, portato avanti assieme al fratello Marco, alle tastiere, al chitarrista Nicola Panteghini e al batterista Alessandro Pedretti.
 
Nell’ultima lunga tournée, circa duecento date attraverso l’Italia a partire dall’uscita del disco intitolato Giuradei e datato febbraio 2013, Ettore si è riscoperto (un po’ di più) morigerato, non solo perché tiene (un po’ di più) alla salute. «Ho passato degli anni salendo sul palco come un deficiente - racconta -, ma inizio a rifiutare la parte più spettacolare dei concerti. Più suoni e più ragioni su ciò che fai. È vero che mi sfogavo, ma in fondo giocavo con un personaggio». L’ultimo anno e mezzo, concluso con una festa il 27 settembre al BRain di Montichiari, è stato fantastico, per Giuradei e soci.
 
Lo si capisce anche dalla stanchezza che l’ha portato, li ha portati, a prendere un periodo di pausa dal live, dalle prove, da nuove composizioni. La musica è finita, almeno adesso. «In realtà faremo comunque qualche data in duo, io e mio fratello, perché in fondo questo è il nostro lavoro. Ma ho bisogno di fermarmi un po’ per rimettere al centro il mio desiderio di fare musica. E poi per carattere soffro la dimensione pubblica, mi stupisce a volte ritrovarmi al centro dell’attenzione, anche se non sono un artista di fama nazionale». Il pubblico prende, il pubblico dà. Ettore Giuradei è più timido di quanto appaia sul palco, o più insicuro.
«Mio fratello è un ottimo partner, lui è più determinato e tranquillo di me. E in generale il fatto di suonare con persone lanciate come Nicola e Alessandro mi aiuta molto».
 
Dalla Repubblica del sole (2011), il lato cantautorale in senso stretto è stato superato nei live da una dimensione rock. «Non è sempre facile da gestire. A volte per questioni logistiche, per suonare in modo più potente servono spazi adatti, a volte perché c’è chi apprezza di più il lato intimista della mia musica». L’energia che si sprigiona negli ultimi set è liberatoria, oltre che artisticamente valida. «È il senso del rock: trovarsi con il pubblico senza tanti compromessi, con i patti chiari. Capita in un tour così lungo che qualche volta arrivi stanco, ma ti ritrovi con una risposta così forte che stupisce e ricarica». I momenti migliori sono quelli più intensi, quando nelle due estati attraversate i live si facevano più frequenti.
 
«Nel nord Italia fai una data, al massimo due di seguito, e torni a casa. Da Roma in giù invece resti in giro come nelle tournée più classiche. Così è fantastico, le due settimane di concerti ininterrotti dello scorso agosto sono tra le esperienze più belle della mia vita». Otto anni di attività, quattro dischi pubblicati, una crescita costante, «anche se è mancato il salto come lo si intende di solito, sono stati più passi avanti costanti». Ora una pausa, ma le prospettive non mancano: «Attraverso Picicca, che ha pubblicato il nostro ultimo album, ci sono dei contatti con la Warner». È solo una questione di scelte, di desiderio e di fegato, inteso anche come coraggio.
 
Emanuele Galesi
 

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