Archivio

L'Associazione Carcere e Territorio

PREMIO BULLONI
AA

Un impegno costante, affinché il carcere e il territorio si incontrino attraverso le sbarre. Oltre le sbarre.

Sarà proprio l'associazione "Carcere e territorio" a ritirare domani il Premio Bulloni, all'auditorium San Barnaba. Un riconoscimento che le viene assegnato per la sua opera di rieducazione e reinserimento sociale dei carcerati e di sensibilizzazione della comunità sui temi legati alla detenzione, della reintroduzione e della legalità.

Nata nel 1997 da un'idea del compianto dottor Giancarlo Zappa - che fu presidente del Tribunale di sorveglianza di Brescia ed al quale è stata recentemente dedicata una via nel quartiere di Sanpolino - la onlus si propone di intervenire nei percorsi di inserimento sociale delle persone in esecuzione penale, avvalendosi del contributo di circa cinquanta volontari oltre che collaborando con altre associazioni cittadine e le istituzioni locali.

"Da quando è nata ad oggi - spiega il presidente Carlo Alberto Romano - l'associazione si è espansa a vari livelli, coinvolgendo sempre più realtà ed attivando progetti sempre più numerosi. Ad esempio, il progetto di educazione alla legalità che oggi le scuole ci chiedono con assiduità: è importante che si approfondiscano temi come il senso del reato e della pena nel contesto scolastico, i ragazzi sono il nostro futuro".

Dodici anni di impegno e di iniziative

L'attenzione data all'avvenire dei giovani ma soprattutto all'esperienza presente si concretizza anche in un'altra attività, essenziale per sviluppare e realizzare i programmi di Carcere e territorio, vale a dire la formazione dei volontari. "In dodici anni abbiamo effettuato tre corsi e stiamo raccogliendo molte domande per avviarne un quarto. La preparazione del volontario è fondamentale, poiché il contesto dove si va ad operare è molto delicato" continua il professor Romano, che insegna Criminologia alla facoltà di Giurisprudenza ed alla scuola di specializzazione in Medicina legale dell'Università degli Studi di Brescia.

Quali sono le aree di intervento in cui l'associazione si muove? "Lavoriamo con persone in esecuzione penale sia all'interno del carcere che extra muraria, gestendo ad esempio uno sportello di housing sociale sugli alloggi e seguendo la formazione scolastica e universitaria. E infatti il nostro fiore all'occhiello - racconta il presidente con orgoglio - è la creazione del primo polo universitario della Lombardia, nelle carceri di Verziano, in collaborazione con l'Università degli Studi di Brescia e il Provveditorato regionale dell'Amministrazione penitenziaria di Milano". Tra i servizi più delicati spiccano l'assistenza, l'orientamento e la tutela della genitorialità: i genitori detenuti molto spesso si vergognano e vivono il loro essere madre e padre con molta difficoltà, così come i figli stessi, perciò l'associazione interviene offrendo un supporto psicologico all'intera famiglia.

Non mancano infine le proposte culturali come gli incontri dedicati alla lettura, la visione di film e di spettacoli teatrali, la realizzazione della rivista "Zona 508", a cui collabora una redazione interna ed esterna

"Il Premio Bulloni che riceviamo è per noi un riconoscimento importante: siamo in nove figure direttive ma la maggior parte di noi sono volontari sotto i trent'anni, tutti giovani che studiano o lavorano e dedicano parte del loro tempo in questo progetto. È un ambito, quello della prigione, che tende a generare indifferenza - conclude il presidente Romano - ma un carcere ha bisogno della città a cui appartiene e questi ragazzi volontari mettono in gioco la loro voglia di fare perché ci credono fino in fondo".

Sul tema del volontariato di chi si occupa di carceri, anni fa il compianto giudice Giancarlo Zappa scriveva che si tratta di un impegno "che raccoglie i cittadini più sensibili, aperti e coraggiosi, che sentono veramente come cittadini la solidarietà, come cristiani la carità verso il fratello che ha sbagliato ma può essere riportato all'ovile. È questo un volontariato selettivo, che pochi si sentono di affrontare, che richiede anche una speciale preparazione giuridica ed umana. I condannati sono "ultimi fra gli ultimi", i marginali estremi. Sono utenti ostici, in posizione di difesa, spesso aggressivi come capita a chi si sente isolato, rifiutato, etichettato".

"Un volontariato di frontiera"

Ancora: "È un volontariato di frontiera, fortemente specializzato, a volte pericoloso. Avvicinare i detenuti, comunque i condannati, è difficile e tutt'altro che gratificante perché significa compartecipare in un certo modo al dolore, alla disperazione di chi ha commesso reati e si sente riprovato, emarginato, solo con la propria colpa. Significa interessarsi degli aspetti più crudi, dolorosi, tragici della vita. Sono ben rari i momenti felici che si registrano, come quando (e non sempre avviene) il soggetto aiutato viene recuperato e reinserito socialmente, dopo mesi, anni di lavoro, di fatiche, spesso di delusioni, sconfitte, incertezze".

Nel volontario che si occupa di carceri - insomma - secondo Zappa "è sempre in agguato un pericolo grave: il volontario può farsi coinvolgere dalle vicende del condannato e perdere così lucidità e autonomia di giudizio. Non si deve confondere con il condannato; non si deve far strumentalizzare, non deve perdere il senso della sua missione che consiste nel dare sostegno morale ed aiuto per il reinserimento, non per giustificare il reato che giustamente reclama sempre la condanna. Il volontario condanna il reato; è soltanto vicino al reo se questi chiede sinceramente un aiuto per redimersi".

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia