Pcb, mercurio, solventi e cromo: falda malata nello studio Arpa

Nuove analisi sulle acque sotterranee della città, a dieci anni dal primo monitoraggio dell'Arpa: i veleni continuano a diffondersi
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Dieci anni dopo, stessa falda, stesso mare. Di veleni. I risultati della campagna di monitoraggio delle acque sotterranee del Sito di interesse nazionale Brescia Caffaro, avviata nel giugno 2014 dall’Arpa e conclusa nel 2015, mostrano che sotto i nostri piedi la diffusione di pcb, cromo esavalente, solventi e mercurio continua, con alcune sorgenti acclarate, la Caffaro su tutte, alcune del tutto ignote o altre solo ipotizzate e da approfondire, come lo stabilimento Iveco.

Il primo studio a riguardo risale al 2005. In quello attuale si riconferma la presenza di una falda malata, che costringe ad un lavoro di depurazione particolarmente complesso perché l’acqua arrivi nei rubinetti dei bresciani con valori sotto i limiti. Il caso del cromo VI, con il trattamento iniziato da A2A per abbatterne i livelli nell’acqua potabile, mostra quanto la situazione sia delicata. 

In quello attuale si riconferma la presenza di una falda malata, che costringe ad un lavoro di depurazione particolarmente complesso perché l’acqua arrivi nei rubinetti dei bresciani con valori sotto i limiti. Il caso del cromo VI, con il trattamento iniziato da A2A per abbatterne i livelli nell’acqua potabile, mostra quanto la situazione sia delicata.

L’area studiata comprende il Sin Caffaro, oltre a ampie parti del Comune di Brescia e dei centri limitrofi, con due grandi barriere a ovest e a est costituite dal fiume Mella e dal promontorio idrogeologico del colle Cidneo. Per quanto riguarda il pcb viene individuato un «plume» unico, il termine tecnico con cui viene definita l’area di inquinamento, «in uscita dallo Stabilimento Caffaro» dal quale tende poi a diffondersi verso il sito Oto-Melara (ex Breda Meccanica, ndr)».

L’Arpa scrive inoltre che «si riscontra la presenza di concentrazioni rilevabili di pcb in ulteriori piezometri posti a valle della sorgente». Il che significa che il lavoro di emungimento delle acque in corso alla Caffaro, come già emerso più volte, non impedisce all’inquinante di diffondersi nelle acque dirigendosi verso sud, anche a causa delle enormi concentrazioni: 331,7 nanogrammi per litro di picco massimo contro una soglia di contaminazione fissata a 10 ng/l. Un problema accentuato dal fatto che negli ultimi anni «si è avuto un significatico e generale innalzamento del livello di falda, in modo particolare nella porzione nord del territorio indagato (...) con conseguente incremento della velocità di deflusso delle acque sotterranee».

Non è solo il pcb a preoccupare, però, dato che sempre in corrispondenza della Caffaro è individuata un’area di diffusione di mercurio, altro cancerogeno accertato, con una concentrazione massima di 15,1 µg(microgrammi)/l all’interno dello stabilimento, in abbassamento a 2,5 µg/l nel piezometro in corrispondenza del campo Calvesi. Il limite, per le acque sotterranee, è di un microgrammo per litro, ben al di sotto delle quantità rilevate. Acqua cromata. Un altro grande problema è costituito dal cromo VI, per cui vengono individuati ben undici plume con differenti gradi di gravità. «La contaminazione si conferma essere in parte proveniente da monte e dalle sorgenti presenti in Val Trompia o nella porzione nord dell’area indagata». La maggior parte del cromo in arrivo da monte viene risucchiato, scrive l’Arpa, dai pozzi A2A San Donino e Nord che potrebbero «rappresentare uno sbarramento idraulico per parte delle contaminazioni (...) quantomeno per quanto riguarda la falda più superficiale». Qui le concentrazioni arrivano a 24,1µg/l contro un limite di 5. In assenza di un depuratore per le acque della Val Trompia, altro problema ambientale irrisolto della nostra provincia, il lavoro di decontaminazione dell’acqua ricade sul sistema idrico cittadino.

Ma ci sono poi sorgenti interne storiche che continuano a avvelenare la falda, vale a dire il sito Baratti-Inselvini le cui concentrazioni (che arrivano fino a 2180 µg/l) tendono a decrescere a valle, «anche se i valori sono notevolmente superiori alla soglia di contaminazione nonostante gli interventi messi in opera» dai responsabili. Il lavoro dell’azienda non basta, insomma, così come non basta quello fatto nel sito Forzanini, poco distante, il cui cromo VI va sommarsi a quelli della Baratti-Inselvini. C’è inoltre una sorgente non ancora individuata nella zona di via Rose che provoca livelli di contaminazione nell’area ex Monte Maniva, con concentrazioni pari a 514 µg/l. C’è poi il capitolo tetracloroetilene, sostanza altamente tossica usata come solvente, che viene rilevata con concentrazioni pari a 156 µg/l nel pozzo Ori Martin, 71,4 µg/l nei piezometri a valle del Comparto Milano o 21,9 µg/l a monte del Sito Caffaro. Il limite? 1,1 µg/l. E le sorgenti, per la maggior parte dei casi, sono ancora da individuare.

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