«Alla morte non ti abitui mai». Addio al poliziotto Gianfranco

Le parole rilasciate qualche anno fa al nostro quotidiano del sovrintendente capo della Polizia Stradale Gianfranco Buccola, morto a 54 anni
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«Alla morte non ti abitui mai. Anzi, non ci si deve abituare». Ci sono parole che, rilette a distanza di anni, assumono un significato ancora più radicale.

È il caso di queste. A pronunciarle, nel corso di un’intervista dell’aprile 2008, rilasciata al nostro quotidiano, era stato il sovrintendente capo della Polizia Stradale Gianfranco Buccola. In quella testimonianza - che volle pubblicata anonima, perché il suo racconto, scevro da ogni personalismo, valesse come quello di tutti gli uomini e le donne che vestivano la sua stessa divisa - ripercorreva, da esperto di infortunistica, quel che avviene dopo un incidente mortale. E in particolare l’esperienza, lacerante, che troppe volte spetta agli agenti, di suonare un campanello ed informare di una morte improvvisa una madre, un padre, una sorella, un figlio. Nel rievocare un episodio, pur a distanza di anni, non trattenne le lacrime. E nel racconto - di un’umanità discreta quanto profonda - concludeva appunto convinto che alla morte, anche quella affrontata per dovere, non si deve mai far abitudine. Anche se fa male, al punto da indurre a cambiar vita, o incarico: «Ma significherebbe lasciare soli colleghi più giovani», spiegò allora con toccante generosità, quella che a volte rivelano persone che si incontrano anche per pochi istanti soltanto.

Chi ha diviso con lui anni di lavoro stenta a credere che un male si sia portato via in meno di un mese e a soli 54 anni quell’uomo, d’aspetto imponente, cui tutti riconoscono non consueta bontà. Per i colleghi della Stradale, gli amici - che ieri gremivano il Duomo di Montichiari, stretti ai familiari, nell’ultimo saluto -, risuoneranno forse tristemente profetiche le sue parole: «Alla morte non ti abitui mai»

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